Fantasmi. Stracci a righe avvolti su pelli rinsecchite. Scheletri dagli sguardi assenti. Perduti nel vuoto di un inferno terreno. Settanta anni fa, il 27 gennaio 1945, i primi soldati dell’Armata rossa arrivarono al campo di Auschwitz e si trovarono di fronte l’orrore. Non che la guerra fino a quel momento non fosse stata piena di fatti terribili, ma lo spettacolo che si presentò ai soldati russi fu sconvolgente. Nulla di immaginabile anche per coloro che da quattro anni combattevano una guerra dove la pietà era parola bandita. Solo ferocia e sangue. Ma lì, ad Auschwitz si concretizzò il Male. Le immagini riprese dai documentaristi sovietici al seguito delle truppe ci rimandano quel momento. Oltre il cancello dove campeggiava e ancora oggi campeggia la scritta Arbeit macht Frei, il lavoro rende liberi, i soldati sovietici trovarono larve d’uomo e di donna inerti che si ammassavano, privi di qualsiasi emozione, verso i reticolati. Trovarono cataste di cadaveri in decomposizione, ossa ammucchiate. La galleria degli orrori è senza fine e non può essere cancellata dal tempo. Tutt’altro, gli uomini degni di questo nome devono avere il coraggio di non distruggere quei segni della nefandezza umana. A monito futuro.
Uno degli ebrei romani, Alberto Sed, superstite con la sorella allo sterminio, ancora oggi, alla soglia dei novant’anni, continua a sanguinare dalle ferite dei ricordi. Numero “A-5491” Alberto fu destinato allo smistamento dei bambini, lui appena adolescente, le SS gli ordinavano di lanciare i bambini in aria così che loro potessero fare il tiro a segno. “Non sono più riuscito a prendere in braccio un bambino – ricorda oggi con voce tremula nella sua casa di Monteverde – neppure i miei figli e i miei nipoti”, e mentre pronuncia queste parole nei suoi occhi appaiano in un flashback quelle immagini al campo di Birkenau.
L’orrore della Shoah aveva avuto un prodromo altrettanto tragico: lo sterminio degli armeni in Turchia agli inizi del secolo. In quel secolo buio che è stato il Novecento con le guerre mondiali, i massacri pianificati dai nazisti, le bombe atomiche sulle città del Giappone, l’uomo è stato in grado di ripetere errori ed orrori. Nei Balcani con il genocidio dei bosniaci di fede musulmana a opera dei serbi. Le violenze etniche in Africa. E questo Terzo Millennio vede ancora l’uomo figlio di Satana e non di Dio tornare a uccidere, a pianificare la morte dei suoi simili, in nome di una religione di violenza e sopraffazione che è la negazione del senso del soprannaturale. Il fondamentalismo è figlio di quel nazismo che mise in atto lo sterminio degli ebrei e dei diversi. Per non dimenticare. Per non ripetere l’indicibile dobbiamo imprimere nelle nostre menti le immagini di quel 25 gennaio di settanta anni fa, di quegli uomini sopravvissuti nel corpo ma privati del cuore. La memoria come viatico per la vita, la tolleranza e il rispetto dell’altro. Qualsiasi colore abbia la sua pelle, qualsiasi fede professi, qualsiasi sia la sua patria.