E’ presto per parlare di distensione. Ma negli ultimi mesi i rapporti tra Vladimir Putin e Recepp Tayyip Erdogan sono decisamente migliorati, lasciando presagire un progressivo allentamento della tensione tra Russia e Turchia. “C’è ancora molto da fare sul piano della cooperazione” aveva detto il leader del Cremlino dopo il terzo incontro bilaterale (quello del disgelo) con l’omologo turco. Un’occasione propizia per approfondire il dialogo è rappresentata dal World Energy Congress, in corso a Istanbul in questi giorni.
Turkish Stream e nucleare
Il riavvio del progetto “Turkish Stream”, dopo le significative aperture già giunte da entrambe le parti, è stato di fatto ufficializzato nell’incontro Putin ed Erdogan, andato scena nel palazzo ottomano di Yildiz.”Ne stiamo discutendo con Ankara e gli altri partner – ha detto il presidente russo – vogliamo portarlo avanti”. Mosca dovrebbe confermare anche la costruzione di quella che sarà la prima centrale nucleare a sorgere sul suolo turco, un accordo che consentirà ad Ankara di mettersi al passo delle altre due grandi potenze mediorientali: l’Iran, il cui controverso programma nucleare adottò proprio tecnologie russe, e l’Arabia Saudita, che sta lavorando a un piano di arricchimento dell’uranio a scopi civili con la collaborazione della Corea del Sud. L’obiettivo di lungo termine è portare a 100 miliardi di dollari il valore dell’interscambio commerciale annuale tra Russia e Turchia. A completare il quadro economico che consentirà, nel tempo, la piena ripresa delle relazioni c’è anche un fondo d’investimento comune da 1 miliardo di dollari che Russia e Turchia costituiranno in virtù dell’accordo firmato dai rispettivi ministri degli Esteri e che sarà destinato a energia, turismo, agricoltura e trasporti.
Golpe fallito
Archiviate, almeno in parte, le ambizioni neo-ottomane di approfittare del conflitto in Siria per estendere la propria influenza (nonché la propria estensione territoriale) sullo scacchiere mediorientale, oggi la Turchia appare più orientata a giocare sul “soft power” di economia ed energia. A mutare radicalmente la situazione, e a riavvicinare il presidente turco al capo del Cremlino, fu il fallito colpo di Stato militare del 15 luglio scorso, che provocò invece una frattura con gli Stati Uniti, accusati da Erdogan di proteggere il predicatore Fetullah Gulen, ritenuto l’ispiratore del golpe. Vladimir Putin fu, in quelle ore, tra i primi a offrire la propria solidarietà a Erdogan mentre i principali governi occidentali mantenevano un atteggiamento attendista.
La strategia in Siria
La ritrovata intesa ha avuto evidenti ripercussioni sul fronte siriano. Lo scorso 20 agosto, undici giorni dopo l’inizio del disgelo sancito dall’incontro tra i due leader a San Pietroburgo, il primo ministro turco, Binali Yildirim, aprì alla permanenza di Assad al potere in un governo di transizione promettendo allo stesso tempo “un ruolo più attivo della Turchia” nella crisi. Appena quattro giorni dopo carri armati di Ankara e formazioni della Free Syrian Army (la principale formazione ribelle non legata all’islamismo radicale) libereranno dall’Isis la città siriana di Jarablus, vicina al confine turco, in appena nove ore. Una svolta decisiva per un Paese che fino a poco tempo prima doveva difendersi dalle accuse di lasciar passare sul proprio territorio i camion di rifornimenti diretti allo Stato Islamico (accuse tutt’altro che infondate, alla luce di quanto aveva rivelato Deutsche Welle nel novembre 2014).
Tensioni superate
Il riavvicinamento sulla crisi siriana non è di poco conto. A far alzare la temperatura tra Mosca e Ankara fu infatti l’abbattimento da parte della contraerea turca di un Su-24 russo, impegnato nei raid contro i ribelli, accusato di aver sconfinato. Esclusa una possibile ritorsione militare, che avrebbe scatenato un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili, la Russia aveva varato una serie di sanzioni contro la Turchia. Bisogna capire come gli Stati Uniti reagiranno a questa ritrovata armonia. Dopo Arabia Saudita e Israele (con cui i rapporti nel tempo si sono progressivamente logorati) ora c’è in ballo un altro alleato Usa, peraltro storico membro della Nato.