Nonostante l’ostilità di Israele l’Unesco ha adottato la risoluzione su Gerusalemme e il Monte del Tempio. Il documento, che ha portato Tel Aviv a interrompere ogni rapporto con l’agenzia Onu per la tutela del patrimonio culturale mondiale, era stata presentata dai palestinesi insieme a Egitto, Algeria, Marocco, Libano, Oman, Qatar e Sudan.
Il voto
Era stata già adottata la settimana scorsa in commissione suscitando la dura protesta di Israele. In quell’occasione 24 Paesi dissero di essere favorevoli e 6 contrari (Usa, Germania, Gran Bretagna, Lituania, Estonia, Olanda). In 26 si sono invece astenuti (Italia compresa), mentre i rappresentanti di 2 nazioni non erano presenti al momento del voto. Dopo il “si” di giovedì scorso il Messico ha cambiato idea e si unito oggi al gruppo degli astenuti. Una decisione che non ha avuto alcun impatto particolare sulla definitiva adozione del testo.
Il nodo
La controversa risoluzione ha per tema la questione dell’Haram al Sharif, la spianata delle moschee di Gerusalemme, da dove – secondo la tradizione – Maometto è asceso al cielo. Il documento – che usa sempre la terminologia araba per definire luoghi chiamati in modo diverso da musulmani e ebrei – non affronta tuttavia da nessuna parte la questione se il Muro del Pianto sia un luogo sacro per gli ebrei oppure no.
Accordi violati
L’approccio è diverso: è quello della denuncia delle violazioni degli accordi internazionali e in particolare dell’Haram al Sharif, compiute – ad avviso dell’organismo dell’Onu – da parte israeliana per quanto riguarda lo Status Quo storico della spianata delle moschee, ancora formalmente sotto giurisdizione giordana. La risoluzione si sofferma soprattutto su due aspetti: il fatto che gruppi della destra ebraica sempre più spesso si rechino sulla spianata delle moschee (e non solo al Muro del Pianto), rivendicando il diritto a pregare sul “Monte del Tempio“, che sorgeva in quel luogo prima di essere distrutto dai romani nel 70 dopo Cristo.
Condanna
L’Unesco deplora fermamente – si legge – “le continue irruzioni da parte di estremisti della destra israeliana e dell’esercito nella moschea di Al Aqsa e nell’ Haram al Sharif, e chiede a Israele, potenza occupante, di adottare misure per prevenire provocazioni che violano la santità e l’integrità” della spianata dello moschee. Secondo punto, il documento denuncia gli scavi fatti e le infrastrutture costruite unilateralmente dalle autorità israeliane nel complesso che riguarda anche la spianata delle Moschee, e “il crescendo di aggressioni e di misure illegali contro la libertà di preghiera dei musulmani nei loro luoghi santi”.
Status Quo
In sintesi, l’Unesco chiede a Tel Aviv di accettare il rispetto pieno dello Status Quo, concordato tra lo Stato ebraico e la Giordania dopo la guerra del ’67, che garantisce tra l’altro agli ebrei la possibilità di visitare la spianata ma non di pregare e riserva invece ai musulmani questo diritto. Secondo tali regole l’esclusiva autorità sulla Moschea di Al Aqsa e sulla spianata dell’Haram al Sharif spetta al dipartimento per gli affari religiosi giordano, il Waqf.
“Potenza occupante”
Lo Status quo – bisogna ricordare – venne di fatto messo in discussione dalla famosa passeggiata, nel settembre del 2000, di Ariel Sharon sulla spianata, che anticipava chi oggi rivendica il diritto degli ebrei a salire a pregare sul Monte del Tempio (come gli israeliani chiamano l’Haram al Sharif). Il documento dell’Unesco definisce Israele “la potenza occupante” su Gerusalemme est. Un termine ineccepibile da un punto di vista del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’Onu dopo il 1967, ma che certo non fa piacere alle autorità israeliane, come anche l’intero tono del documento.