The Great Artiste, il B-29 Superfortress dell’Us Army, quella mattina volteggiò prima su Kokura. Troppe nubi per il quadrimotore americano, un obiettivo indistinguibile qualche migliaio di metri più in basso e un indicatore di carburante che, sempre più verso il rosso, suggeriva un’unica soluzione: puntare su un altro obiettivo. Nagasaki fu scelta così, come importante porto strategico del Giappone, ma anche come il più vicino all’impossibile Kokura, dove “Fat Man” avrebbe dovuto compiere il suo atroce dovere. Come Little Boy a Hiroshima: la bomba atomica esplose senza che nessuno fra i messaggi d’allarme sganciati prima dell’ordigno raggiungesse il fisico nucleare Ryokichi Sagane. Nonostante la carneficina di qualche giorno prima, Nagasaki non se lo aspettava.
Fat Man su Nagasaki
Alle 11.02 del 9 agosto, esattamente 75 anni fa, più di 70 mila persone furono spazzate via da Fat Man. Carbonizzate, dilaniate, esattamente come i compatrioti di Hiroshima. E solo un parziale errore di coordinate impedì un numero più elevato di morti. Oggi, come ogni anno, Nagasaki ha ricordato le sue vittime, così come i suoi hibakusha, i superstiti, marchiati a vita dalle scorie radioattive della bomba o dal calore infernale della sua detonazione. Tante persone, degli hibakusha non lo rimasero nemmeno a lungo, uccisi nei giorni (o nei mesi, a volte anche negli anni) seguenti dagli effetti a lungo termine di Fat Man. E la commemorazione di quelle vittime, ancora una volta, ha visto il sindaco di Nagasaki, Tomihisa Taue, ha invitato il governo giapponese alla ratificazione del Trattato di non proliferazione nucleare. Il Giappone quell’accordo non lo firmò nel 2017 nonostante sia stato l’unico Paese al mondo a subire un attacco atomico.
Il fantasma della distruzione
Nel frattempo, assicurando l’impegno a ridurre gli armamenti nucleari, il Giappone continua ad aggiornare il bilancio degli attacchi atomici dell’agosto del ’45. Almeno 185.982 a Nagasaki, addirittura 324.129 a Hiroshima. I numeri che segnarono la resa del Giappone e misero fine alla guerra. Avviando un periodo di oscurità e paura, durante il quale lo spettro dell’atomica avrebbe aleggiato ogni giorno sulla quotidianità di un mondo diviso per anni dalla Cortina di ferro. Lo spettro della distruzione totale.