Da uomo di azione e di pensiero Benedetto XVI ha scritto fondamentali encicliche e ha pubblicato il Gesù di Nazareth in più volumi, per mostrare che la fede non è un elenco di proibizioni ma un rapporto di amicizia con il Dio fatto uomo. Ha posto i temi della povertà e dell’Africa, dei giovani, dell’ecumenismo e dell’annuncio della fede al mondo secolarizzato al centro del proprio regno. Ha lottato energicamente contro gli abusi sessuali del clero, imponendo un’inversione di rotta nella coscienza, nelle norme e negli atteggiamenti della Chiesa nei confronti dei preti pedofili. Benedetto XVI è stato un Papa intellettuale , un teologo cresciuto su Sant’Agostino, San Bonaventura e Origene (di cui ha a lungo condiviso l’ipotesi dell’«inferno vuoto», la bontà di Cristo salva tutti). Per ricostruirne la tormentata biografia di fede e idee, è importante rileggere l’evoluzione del giovane prelato tedesco nei diversi contesti che lo hanno accolto. Per decenni nei mass media si è radicata l’immagine di un Joseph Ratzinger-Giano Bifronte: all’inizio del suo percorso ecclesiastico e accademico fu teologo progressista e favorevole alla modernità e poi, chiamato in Curia da Giovanni Paolo II per guidare l’ex Sant’Uffizio e infine sul Soglio Di Pietro, arcigno custode dell’ortodossia e strenuo sostenitore della tradizione a scapito del dialogo con il mondo contemporaneo. Come spesso capita, però, la realtà è più complessa delle semplificazioni giornalistiche.
Dal 1946 al 1951, Joseph Ratzinger studiò nella Scuola Superiore di Filosofia e di Teologia di Frisinga e nell’Università di Monaco di Baviera. L’aver superato senza conseguenze le brutte esperienze della guerra, rafforzò la convinzione che Dio avesse dei progetti per lui. Le disavventure di quegli anni lo avevano fatto confrontare con la paura e costretto a vivere in modo brutale, aveva visto letteralmente la morte in faccia e tutto questo lo aveva cambiato profondamente, facendogli comprendere l’importanza di molte cose prima considerate ovvie e confermando sempre di più l’intenzione di diventare sacerdote. Stava per iniziare un periodo molto felice e, finalmente, tranquillo. E sembrava di secondaria importanza che fossero anni difficili, di grande povertà. Perché ciò che contava di più era che la guerra fosse finita e fosse stato sconfitto quel malvagio regime che aveva causato così tanta sofferenza all’umanità. Appena arrivati, Joseph Ratzinger e suo fratello Georg, si accorsero che il seminario di Frisinga, era stato adibito a ospedale militare per prigionieri di guerra stranieri, che erano ricoverati lì in attesa del loro ritorno in patria.
Durante le feste di Natale del 1945 si erano create le condizioni che gli aspiranti potessero essere ospitati al meglio, anche se gran parte della casa doveva essere utilizzata ad altri scopi, determinati dai postumi del conflitto mondiale. C’erano circa 120 seminaristi di tutte le età, assieme per incamminarsi sulla strada del sacerdozio. Molti di loro avevano prestato servizio militare. Ratzinger aveva solo 19 anni e alcuni di coloro che erano stati a lungo sottoposti alle agonie della guerra, lo guardavano, così come avveniva con gli altri suoi coetanei, come un ragazzino immaturo, a cui erano mancate le sofferenze necessarie per il ministero sacerdotale. Ciò che prevaleva in quella casa e che accomunava i suoi membri, era la voglia di rinascere, di lavorare nella Chiesa per il mondo.
Oltre a una grande fame di conoscenze, che era andata crescendo formando un buco da colmare, durante gli anni della Desolazione, in cui tutti erano stati sottoposti al potere, estraniati dalla cultura e da un rinfrancarsi dello spirito, visto che i libri erano una rarità nella Germania distrutta e separata dal resto del mondo. Malgrado i bombardamenti, in seminario era riuscita a sopravvivere una biblioteca con i libri di teologia, ma anche i romanzi di Dostoevskij, Mauriac, Claudel, Gertrud von Le Fort. Joseph Ratzinger si appassionò a Steinbùchel, sia ai volumi dedicati alla fondazione filosofica della teologia morale che a La svolta del pensiero. Ma soprattutto il suo giudizio fu segnato dal Personalismo, che incontrò nella lettura del grande pensatore ebreo Martin Buber e soprattutto con Agostino in Confessioni.
Ai teoretici preferiva i teologi di sangue e carne. Con Agostino di Ippona concordava sul fatto che si potesse diventare simili a Cristo non per nascita, ma per conversione interiore. In seminario c’era un clima famigliare, instaurato grazie anche al rettore, Michael Hock, chiamato da tutti «Il Padre». C’era sempre musica e si recitava il teatro. I dormitori disponevano di dieci-quindici letti, non c’era riscaldamento e d’inverno il freddo era quasi insopportabile. La mattina, per lavarsi, bisognava rompere il ghiaccio che ricopriva l’acqua preparata la sera precedente.
Prima della conclusione dell’esperienza a Frisinga, Ratzinger indirizzò la richiesta al vescovo per poter proseguire gli studi a Monaco. L’obiettivo era quello di potersi, un giorno, dedicare completamente alla teologia scientifica. Arrivato all’Università si accorse che era quasi tutta un cumulo di macerie, compresa la biblioteca e che c’era quindi poco spazio per dormire, per studiare, per partecipare alle lezioni. Il vitto era scarso perché non si poteva fare affidamento su una propria fattoria, come avveniva, invece, nel seminario di Frisinga. Ma c’era, per fortuna, un grande parco all’interno del castello, dove spesso il giovane Ratzinger andava a passeggiare, riflettendo e maturando decisioni importanti sulla sua vita. Al contrario di Frisinga, il gruppo di studenti universitari era eterogeneo e l’interesse intellettuale dominava, generando individualismo.
La facoltà teologica dovette essere ricostruita di sana pianta, poiché era stata distrutta dai nazisti e le lezioni avvenivano spesso nel giardino, al gelo. A Monaco si faceva teologia in maniera «critica ma credente», affermò Ratzinger nel corso degli anni. Viveva la sua vita di universitario impegnandosi a fondo, trascorrendo le sue giornate perdendosi nelle letture e approfondendo i temi che più lo appassionavano, mentre nel frattempo si teneva in forma girando per la città in sella alla sua amata bicicletta. Finì gli studi a Monaco e poi fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1951, in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo. Una quarantina di candidati vennero chiamati durante la cerimonia risposero Adsum, “Sono qui”.