“Quest’anno ho voluto dedicare il mio messaggio agli sfollati interni, i quali sono costretti a fuggire, come capitò anche a Gesù e alla sua famiglia. ‘Come Gesù costretti a fuggire’, così gli sfollati, i migranti. A loro, in modo particolare, e a chi li assiste va il nostro ricordo e la nostra preghiera”. Parole che Papa Francesco riserva al termine della sua preghiera dell’Angelus domenicale, nel quale aveva già dedicato un pensiero al Caucaso, sconvolto dagli scontri fra Armenia e Azerbaigian. Ad animare il pensiero del Santo Padre è la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, ai quali è dedicato un monumento in Piazza San Pietro. “Angeli senza saperlo”, benedetto proprio da Papa Francesco un anno fa e che, ogni giorno, testimonia il dramma di chi lascia la propria terra in cerca di un futuro migliore. Un dramma esistenziale, umano, che riguarda ogni epoca. Anche coloro che, colpiti da sciagure come un terremoto, attendono risposte sul proprio futuro.
Gli sfollati interni
Un momento di riflessione ma anche di azione. Una Giornata istituita dalla Chiesa nel 1914 e che, dallo scorso anno, corrisponde a ogni domenica finale del mese di settembre. Ma il giorno, in fondo, ha un’importanza relativa. L’invito del Santo Padre è a far proprio il cuore di questa giornata in ogni momento della nostra vita cristiana. Esortandoci a riconoscere nella tragedia degli sfollati il volto stesso di Gesù Cristo. Un appello a rivolgere il nostro sguardo sulle realtà del mondo che vivono ancora oggi l’atroce prova dell’essere estromessi dalla propria terra senza abbandonarla. Un dramma che coinvolge Paesi in guerra, come lo Yemen o la Libia, dove i conflitti endogeni creano gravissime sacche di sofferenza. O altre realtà, come quella di Mosul, dove a patire l’estromissione dalle terre dei propri padri è chi ha subito la prova dell’offensiva dei jihadisti del Califfato e la successiva controffensiva.
L’urgenza della solidarietà
Un’occasione anche per ribadire la necessità della collaborazione internazionale affinché la mediazione e il dialogo contribuiscano a contenere i picchi di emergenza. In una fase in cui a far leva sull’aggravarsi delle sofferenze degli sfollati interni (e non solo) ha contribuito la pandemia da coronavirus. La quale, in molti casi, ha fatto sì che i contesti di difficoltà quotidiana si allargassero a dismisura. Ma l’emergenza sanitaria, come ricordato dallo stesso Papa Francesco nel suo messaggio alle Nazioni Unite, può essere un’occasione per far fronte comune. Individuando i contesti di sofferenza e agendo in modo uniforme. Ricordando che la solidarietà non può essere “una promessa vuota” e che colui da privilegiare è “il più povero, il più vulnerabile. Quello che di solito sono discriminati per non avere potere o risorse economiche”.