Il Brasile torna a sinistra. Il leader del Partito dei Lavoratori, Luiz Inacio Lula da Silva, batte di un soffio il presidente uscente, Jair Bolsonaro, e si riprende il seggio di Planalto per la terza volta. Una vittoria troppo sottile per poter segnare una vera svolta politica per il Paese ma per Lula resta un risultato storico. Anche e soprattutto dopo le vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto negli ultimi anni nell’ambito dell’Operaçao Lava Jato. In questo senso, anche il risicatissimo 50,83%, ottenuto contro il 49,17% del rivale, significa tantissimo. Una manciata di voti, letteralmente, sufficienti per porre fine dopo un solo mandato all’amministrazione di destra guidata dal leader del Partito Liberale e a restituire al Brasile una giornata di festeggiamenti da parte di chi ha sempre creduto nella risalita di Lula.
Lula, vittoria sottile
Le proiezioni del ballottaggio lo avevano dato leggermente avanti e il neo-presidente rispetta in pieno il pronostico. Ritornando a Brasilia, però, con la consapevolezza di avere di fronte a sé un Paese spaccato, profondamente diverso da quello del 2011, anno in cui terminò il suo secondo mandato presidenziale. È significativo che una parte del Paese festeggi la rielezione dell’uomo simbolo della classe operaia: dalle favelas fino alle spiagge di Rio, c’è chi spara fuochi d’artificio e chi scende in strada, qualcuno invade addirittura il litorale atlantico. Dall’altra parte, però, c’è l’altra metà del Brasile. Perché di metà si tratta vista che la percentuale che separa i due candidati è frutto di una divergenza sottilissima. Per ora, dai sostenitori di Bolsonaro emerge un silenzio abbastanza eloquente.
La risalita
Di sicuro, per Lula è l’apoteosi. La risalita da un inferno che sembrava realmente senza via d’uscita. Dalle accuse di corruzione alla condanna di 9 anni prima e 12 anni poi inflitta nel 2017, fino al discorso del 7 aprile 2018 a São Bernardo do Campo, dinnanzi al Sindacato dei Lavoratori Metallurgici dell’ABC, dopo il quale si era consegnato alla Polizia Federale per scontare la sua condanna, “scortato” da una folla di sostenitori. I 580 giorni di carcere, la liberazione su decisione della Core Suprema e, infine, l’assoluzione del 7 marzo 2021, che segna il ripristino dei suoi diritti politici. E la ripresa di una corsa verso Brasilia che, secondo le proiezioni di allora, avrebbe potuto vincere anche nel 2018.