L’ultimo affondo della comunicazione del Califfato è un e-book dal titolo molto evocativo” Muslim Gangs”, un manuale per organizzare le cellule in Occidente in maniera diversa da quella di Al Qaeda. Nessuna mimetizzazione, nessuna struttura, ma vere e proprie gang, bande che devono mettersi in moto e seminare morte dietro le linee degli infedeli così da indebolirli e ”conquistare Roma”. Una strategia moderna, giovanile, in linea con i molti rapper che si sono uniti all’Isis lasciando Londra o Amburgo e andando a combattere nelle terre del Califfato.
Gang che già esistono in Gran Bretagna tanto che a Londra pattugliano interi quartieri e fanno rispettare le regole della Sharia: fermano le donne che non portano il velo o vestono secondo i costumi europei. Vigilano perché uomini e donne siano divisi, se non legati da vincoli di parentela; niente fumo in strada e niente alcol nei locali. E ancora, in Francia le banlieue sono già sotto il controllo di bande di maghrebini di seconda e terza generazione, finora interessati solo al crimine senza ammantare le loro azioni con l’ideologia jihadista. Ma adesso potrebbe cambiare lo scenario. Del resto le imprese dei fratelli Kouachi, autori della strage di Charlie Hebdo e figli i quei quartieri ghetto, hanno fatto molti fans nelle periferie delle città francesi.
La minaccia di conquistare Roma o di prendere porzioni di territorio in Europa è certo solo un vaneggiamento. Gli eserciti e le polizie europee non sono certo quelle mediorientali e le milizie nere non riuscirebbero a ripercorrere le vittorie imprese dei califfi di nove secoli fa. La determinazione, la rabbia, e soprattutto una folle volontà di immolarsi possono però destabilizzare le nostre società e causare anche vittime.
Minacce di colpire le nostre città, controllo di aree sempre maggiori in Medio oriente e Africa, l’Isis ormai dilaga persino in Afghanistan dove ha dichiarato guerra anche ai talebani. Nella provincia di Nangharar le forze legate al Califfato hanno assunto il controllo di vaste aree dopo una furibonda battaglia con le milizie talebane. Una realtà che ha costretto gli Usa a compiere raid aerei per eliminare la minaccia.
Il Califfo Al Baghdadi ha lanciato una fatwa contro il Mullah Omar accusato di apostasia e tradimento, le stesse accuse rivolte tempo addietro ad Ayman al Zawahri il successore di Bin Laden alla guida di Al Qaeda. Così dopo 14 anni di presenza delle forze multinazionali in Afghanistan per eliminare Al Qaeda e i talebani, il mondo si ritrova il Califfato. Un fallimento della strategia così con in Iraq e Libia. Sono molti gli attori ad avere sbagliato e continuare a sbagliare perché troppo legati a vecchi schemi di alleanze e soprattutto a interessi di bandiera che stanno provocando il collasso in tutto il Medio Oriente e sta fagocitando interi stati.
Sul giornale panarabo AL Hayat, Raghida Dergham, attenta analista, ha scritto un interessante editoriale nel quale spiega perché i Paesi arabi devono prendere atto della necessità di risolvere i conflitti in Siria, Iraq, Yemen e Libia. “Situazioni strazianti”, così le descrive, e richiede interventi urgenti per impedire la somalizzazione e l’afghanistanizzazione dei Paesi coinvolti. Per questo le diplomazie si debbono metter e in moto con pragmatismo e lasciando da parte i propri interessi. In Arabia saudita, del resto, la sharia con decapitazioni, flagellazioni e lapidazioni è applicata come nello Stato islamico dell’Isis.
I Paesi del Golfo devono accettare la presenza dell’Iran per combattere l’Isis e per avviare negoziati anche per quanto riguarda la guerra civile nello Yemen. Lo stesso impegno fa speso per risolvere la questione libica. Anche la Turchia di Erdogan deve fare chiarezza: non può chiudere un occhio con l’Isis solo perché non vuole una vittoria curda. Così come Israele che nel 2011 attaccava Obama perché sosteneva i ribelli anti Assad… “Assad da 50 anni non ci fa guerra”, la tesi di Tel Aviv. Ora che l’Isis impegna i nemici storici di Israele, Hamas e Hezbollah, Israele è contro ogni tentativo di negoziato in Siria.
L’Europa nel frattempo pensa a far quadrare i conti economici senza preoccuparsi di quanto avviene in Medio oriente. La Germania, quella che ad Amburgo ospitò la cellula di Mohammed Atta senza sospettare nulla, è troppo impegnata a bacchettare gli Stati spreconi che a preoccuparsi di profughi e terroristi. La Francia ha dimostrato di avere servizi di sicurezza che fanno acqua: gli attenti a Charlie Hebdo e a Lione come quello di Tolosa tre anni fa, compiuti da personaggi conosciuti e segnalati come estremisti.
L’Italia, non saprà fare di conto, ma la prevenzione e la lotta al terrorismo – se pensiamo a militari e forze dell’ordine – sa come va fatta per garantire la sicurezza degli italiani ma anche di tutti gli europei. Diverso è il discorso sulla politica: ci vuole un altro approccio a questi temi, per troppo tempo lasciati alla leadership degli Stati Uniti con le conseguenze alle quali oggi assistiamo; così come non si può ridurre il dibattito a livello internazionale alla solca Grecia.
Occorrerebbe maggiore impegno in Africa per sostenere i Paesi a rischio, con qualche centinaia di migliaia di euro si darebbe lavoro e prosperità nelle regioni dell’Africa subasahariana. Ci vuole una diplomazia più pragmatica che tenga conto dei nuovi scenari. Apertura all’Iran e qualche altolà sui diritti umani a Riad ma anche ad Ankara. Utopia. L’Europa e l’Italia pensano alla finanza e temono i default, immemori dell’antico detto: “solo alla morte non c’è rimedio”. I saraceni stanno arrivando con le sciabole assetate di sangue, non di euro.