Il 60% delle aree agricole, il 22% di quelle urbane, il 19% di terre naturali, vegetali e non. Pezzi di Italia travolti dall’edificazione massiccia e dall’abusivismo. Meraviglie scomparse per sempre sotto una vasta, spaventosa colata di cemento. I dati sono stati diffusi nel corso del convegno “Consumo di suolo e dissesto idrogeologico, sostenibilità, innovazione e legalità per il territorio” andato in scena a Roma alla Casa dell’Architettura di Roma. Oggi il 7% del nostro territorio è stato direttamente impermeabilizzato, il 158% in più rispetto agli anni ’50 col risultato che 100mila persone hanno perso la possibilità di alimentarsi con prodotti di qualità italiani. Nel periodo in cui il mondo riscopre il chilometro zero e il biologico si tratta di un danno enorme, non solo per l’ambiente ma anche per la nostra economia. Frutti di un’imprenditoria spregiudicata, del malaffare e di una politica ancora collusa con la malavita per ampi tratti. Le infrastrutture, si legge nelle note introduttive alla conferenza redatte da Patrizia Colletta, Consigliere dell’Ordine degli Architetti Ppc di Roma e presidente del Dipse, rimangono una delle principali causa di degrado del suolo, rappresentando nel 2013 circa il 40% del totale del territorio consumato.
A fotografare questa drammatica situazione è l’Ispra nel suo “Rapporto sul Consumo di Suolo” 2015. Il caso più grave è quello del litorale: quasi il 20% della fascia costiera italiana – oltre 500 chilometri quadrati – è compromesso. E’ stato impermeabilizzato il 19,4% di terreno compreso tra i gli zero e i 300 metri di distanza dalla costa e quasi e il 16% compreso tra i 300 e i 1000 metri. Sono stati poi 34mila ettari all’interno di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi. E’ soprattutto l’abusivismo a distruggere il nostro patrimonio naturale, un male italiano attribuile, si legge nelle note, “alla crisi dell’urbanistica e alle scelte di governo e trasformazione del territorio oltre che ad una sostanziale mancanza di rispetto delle regole e del senso civico”. In tutto questo, ha proseguito Colletta, le “cronache poco edificanti degli ultimi tempi relative ai settori della urbanistica, dell’edilizia e degli appalti pubblici rappresentano un quadro desolante e preoccupante”. E mettono in mostra un Paese incapace di far fronte alle catastrofi naturali dovute al dissesto idrogeologico, che paga le conseguenze di un passato caratterizzato dalle politiche dei condoni edilizi e dagli effetti di interventi urbanistici errati realizzati in aree inedificabili, esondabili e soggetti ad elevato rischio.
“In questo Paese servono gli ingegneri, ma serve anche un bravo psichiatra perché si costruisce senza limiti e soprattutto, purtroppo, in zone evidentemente a rischio idrogeologico e sismico” ha detto nel suo intervento Erasmo D’Angelis, capo della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche #Italiasicura, istituita a palzzo Chigi. Tutto questo è l’effetto di una “legislazione ultrapermissiva e dell’abusivismo, un’ignoranza dietro alla quale però c’è una logica che vuole che resti una confusione normativa nella quale tutto è aggirabile, ma le conseguenze spesso sono drammatiche”. D’Angelis ha raccontato il confronto “a volte allucinante” con le amministrazioni locali di città e paesi dove il rischio di crolli e smottamenti è più elevato. “Andiamo dove franano ville e villette e quando chiediamo la licenza edilizia il sindaco dice che ‘qui è stato costruito cosi’, o ‘abbiamo metà città costruita abusivamente”. Il fatto è che in Italia “negli ultimi 70 anni il costruito è passato dal 2,3 costruito in duemila anni al 7%. Nell’arco di 70 anni abbiamo triplicato le metrature”. E si è edificato poi “in zone dove la toponomastica avrebbe dovuto essere già essa stessa un avvertimento: a Bagno, Bagnoletto, Settebagni, Punta Maledetta, via Affogalasino”, elenca, “ma ce n’è una marea: via della Frana che porta a località La Frana”. Insomma, “ci sono situazioni dove è stato permesso di costruire chiudendo tutti e due gli occhi in condizioni di rischio spaventose – ha proseguito D’Angelis – senza contare il rischio sismico: in questo Paese non ci manca niente: terremoti, vulcani, idrografia, orografia. E’ una roba incredibile, questo Paese andava preso con le molle e invece si è costruito dappertutto”. Il risultato è che “ci troviamo oggi con 7,5 milioni di edifici in zona sismica, che possano crollare”. Per questo oggi il vero business passa per la riqualificazione del territorio, dell’edilizia e per la riduzione del rischio. Concetto, quest’ultimo, su cui occorre creare “una vera coscienza”. La proposta fatta dal responsabile di #Italiasicura è quella di una “moratoria contro il consumo del suolo” come quella “che hanno fatto solo quattro Regioni: Puglia, Toscana, Liguria e Lombardia lasciando un margine di tre anni”. In questi territori “sono state poste delle salvaguardie, dei vincoli, nelle zone più a rischio, dicendo che non si può più costruire, punto”.
Intanto qualcosa si muove dal punto di vista politico. Per completare il finanziamento degli Accordi di Programma stipulati nel 2010 e portare a termine rapidamente gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, il ministero dell’Ambiente sta predisponendo gli atti necessari ad attribuire alle Regioni del Centro-Nord 83 milioni e 650 mila euro inizialmente previsti dal Fondo Sviluppo Coesione e non assegnati, intervenendo con proprie risorse di bilancio. Questi fondi – ha spiegato in una nota il ministero dell’Ambiente – sommati ai 50 milioni e 947 mila euro già trasferiti, arriveranno a coprire i 134 milioni e 596 mila euro di risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione mai assegnate. “Vogliamo accelerare la realizzazione delle opere ponendo fine all’epoca delle lentezze burocratiche che troppe volte in passato hanno fermato la messa in sicurezza di molti territori a rischio in Italia – ha spiegato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – E’ un intervento necessario, che accompagna il nuovo Piano di contrasto al dissesto idrogeologico da sette miliardi nei prossimi sette anni”.