Nell’arco di trent’anni, in Italia il salario medio si è ridotto del 3% e e l’incidenza dei bassi salari è salita, sul totale dei lavoratori italiani, dal 25,9% del 1990 al 32,9% del 2017. L’incidenza risulta è maggiore tra le donne, i giovani tra i 16 e i 34 anni, chi risiede nel Mezzogiorno e tra quanti hanno un contratto di lavoro part-time. Una “fotografia” scattata dal Forum Diseguaglianze Diversità.
Lavoro povero
Non basta lavorare per essere al riparo dalla povertà. L’Italia, infatti, è l’unico dei paesi Ocse in cui c’è stata una riduzione del salario medio tra il 1990 e il 2020 (circa 3 punti percentuali) e nello stesso periodo sono aumentate anche le disuguaglianze salariali: nel periodo tra il 1990 ed il 2017 l’indice di Gini del reddito da lavoro è passato da 36.6 punti nel 1990 al valore di 44.7 nel 2017. Lo segnala il Report del Forum Disuguaglianze diversità “I lavoratori e le lavoratrici a rischio di bassi salari in Italia”, da cui emerge che nel periodo 1990-2017 la soglia relativa alla retribuzione bassa in Italia è diminuita raggiungendo i 10.919 euro annui a partire da 11.673 euro annui, e al tempo stesso l’incidenza dei bassi salari è aumentata da 25,9 punti percentuali nel 1990 a 32,9 punti percentuali nel 2017 sul totale dei lavoratori italiani. L’incidenza dei bassi salari è maggiore tra le donne, i giovani nella fascia 16-34 anni e i residenti al Sud e tra quanti hanno un contratto di lavoro part-time.
Struttura occupazionale
Il Report sottolinea un cambiamento nella struttura occupazionale negli ultimi trent’anni anni, con la crescita di settori low-skilled, come quello dei servizi a famiglie e turistici, nei quali la retribuzione non è sufficiente per uscire dalla spirale della povertà, e “le numerose riforme di deregolamentazione contrattuale, che hanno permesso la moltiplicazione delle tipologie di contratti atipici e spesso precari, e la forte diffusione del part-time”.
La manovra
Secondo il Forum Diseguaglianza Diversità, “le prime indicazioni della legge di Bilancio per il 2023 non vanno nella direzione giusta. Al posto della riduzione delle forme contrattuali – afferma il Forum in una nota non standard, si re-introducono, potenziandoli rispetto al passato, i buoni lavoro che potrebbero arrivare a coprire fino a 10mila euro di remunerazione all’anno (in precedenza il limite era 5mila), cifra non lontano da uno stipendio “normale’ povero” e “questo disincentiverebbe le imprese a ricorrere a rapporti di lavoro regolati e quindi a non pagare contributi per disoccupazione, malattia e maternità di lavoratori e lavoratrici”. Inoltre, “si toglie il reddito di cittadinanza a chi rifiuta il lavoro, anche se a centinaia di chilometri dalla propria residenza, e fra otto mesi a tutti gli “occupabili”. E infine, flat tax e accettazione di un “normale” tasso di evasione segnalano la sostanziale rinuncia a pensare a uno schema universale di protezione del reddito”.
Fonte Ansa