Ricordate il caso della piccola Marwa, la bambina di Marsiglia alimentata con un sondino e attaccata a un respiratore che i medici volevano staccare malgrado l’opposizione dei genitori? Un caso simile si è presentato in Gran Bretagna. Ma se la prima storia ha avuto un lieto fine con il pronunciamento del Consiglio di Stato di Parigi che ha dato ragione ai genitori, a Londra il risultato è esattamente opposto: l’Alta Corte inglese ha autorizzato i sanitari ad interrompere i trattamenti che tengono in vita Charlie Gard.
Una malattia rarissima
La storia è quella di un neonato di otto mesi, nato lo scorso 4 agosto, affetto dalla sindrome di deperimento mitocondriale, una rara malattia genetica: sarebbero solo 16 i casi al mondo. Il piccolo è ricoverato al Great Ormond Street Hospital, centro pediatrico nella capitale britannica, e secondo i medici non ha alcuna possibilità di essere curato. Di parere contrario i genitori, Connie Yates e Chris Gard, che hanno lanciato una campagna di solidarietà a livello mondiale per trovare i fondi necessari, 1,3 milioni di sterline, a trasferire il figlio negli Stati Uniti in un centro specializzato dove Charlie sarebbe stato sottoposto a una terapia sperimentale. Secondo i sanitari, però, il piccolo avrebbe subito danni irreversibili al cervello, con forti limitazioni della capacità di movimento, e propongono solo delle cure palliative.
I genitori non si arrendono
Connie e Chris si sono detti “devastati” dalla sentenza dell’Alta Corte contro la quale intendono appellarsi. Hanno tre settimane di tempo e il loro legale, Laura Hobey-Hamsher, ha dichiarato di non comprendere “perché il giudice Francis non ha concesso almeno una chanche di trattamento a Charlie”.
Motivazioni pilatesche
Il giudice Francis dal canto suo ha detto di aver preso la decisione con il “cuore pesante” ma con “la convinzione completa” che era nell’interesse del bambino. Ha riconosciuto il coraggio dei genitori di Charlie per la loro campagna e “la loro dedizione assoluta al loro meraviglioso ragazzo, dal giorno in cui è nato”, aggiungendo di sapere “che questo è il giorno più buio” per loro. “Spero solo – ha concluso – che con il tempo riusciranno ad accettare che è nel migliore interesse di Charlie di lasciarlo scivolare via in pace, e non metterlo in condizioni di ulteriore dolore e sofferenza”. Già, meglio farlo morire. Ucciderlo. Motivazioni pilatesche che ne nascondono altre che vanno ben oltre le presunte giustificazioni umanitarie. Ragioni economiche, basate sull’utilità dell’individuo, sui costi che il sistema dovrebbe affrontare per tenere in vita un disabile, senza tener conto della dignità della sua vita. E per questo, meglio scartarlo. Comprensibile che al momento della sentenza i genitori abbiano gridato “no!” e siano scoppiati in lacrime. La speranza è che in appello la decisione venga ribaltata.