In Italia la maggior parte dei commentatori sottovaluta, c’è chi la prende come un gioco, in molti riempiono facebook di esilaranti battute ironiche. Vista dall’estero, però, la questione dell’attacco al cuore della cristianità, Roma, non fa sorridere per niente, ma preoccupa. L’ambasciatore egiziano Amr Helmy, in un’intervista rilasciata a Libero, chiede di “agire prima che sia tardi”, e definisce fondate le minacce dei jihadisti: “L’Isis punta dritto a Roma”. Non è convinto, Helmy, che quella dei fondamentalisti islamici sia solo propaganda mediatica: l’uccisione dei cristiani fatti inginocchiare davanti al mare, il loro sangue che colora il Mediterraneo non sono casualità, ma precisi segnali all’Occidente e alle tante cellule sparse in Europa.
E chi pensa a un ‘attacco convenzionale, magari a colpi di kalashnikov o peggio di scimitarra, sta fuori strada. Si torna infatti a parlare di possibili aggressivi chimici sottratti dai depositi di Gheddafi sparsi nel deserto della Libia e parte integrante dell’arsenale di Gheddafi.
Una minaccia già segnalata da fonti affidabili le quali riportavano che durante la guerra civile libica, armi chimiche erano state trafugate da arsenali del regime di Muammar Gheddafi, che erano dislocati nelle province centrali e meridionali della Libia e che sarebbero sfuggite alla distruzione ufficializzata dagli americani.
In quel momento se ne appropriarono le “milizie” avversarie dell’esercito regolare libico come riportato sul sito di Asharq Al-Awsat, autorevole quotidiano panarabo con Sede a Londra. Il quantitativo trafugato in quel momento non era quantificato, ma fonti militari libiche già da allora riferivano al quotidiano filo-saudita che in Libia esistevano armi chimiche nascoste in luoghi noti alle milizie lealiste ed anche ai ribelli vicini ai nuclei di Al Qaeda insediati in Cirenaica che, durante la guerra civile, se ne erano impossessate insieme a tonnellate di armamento convenzionale rivenduto poi a ribelli siriani.
Materiale che potrebbe essere utilizzato sia per attacchi su larga scala sia in attentati convenzionali utilizzando IED (Improvised Explosive Device) “sporchi”. Aggressivi a suo tempo realizzati nelle “fabbriche farmaceutiche” opportunamente dislocate da Gheddafi immediatamente a ridosso con il Tchiad e che producevano, in particolare, iprite e gas nervino Sarin.
Parte di questo materiale (Iprite) è già entrato nelle disponibilità dell’Isis, sempre come riferisce il molto informato quotidiano Asharq Al-Awsat, trafugato da un deposito situato nel deserto del distretto di Jufra a circa 600 chilometri a sud di Tripoli ed, ora, probabilmente trasferito a Misurata.
L’Isis minaccia e si avvicina a Tripoli mentre l’Occidente continua a prendere tempo discutendo sulle possibili iniziative da intraprendere. Il pericolo è reale, come lo stesso Consiglio Nazionale di transizione della Libia denunciava fin dai primi giorni della rivolta. E’ certo, infatti, che Gheddafi abbia fatto produrre e nascondere tonnellate di gas tossici in una fabbrica a Rabat, a sud ovest di Tripoli, confermando un’ipotesi che gli Usa avevano formulato fin dal 1988. Quantitativi in parte distrutti ma di cui dovrebbe ancora esistere una certa disponibilità nascosta probabilmente in depositi affidati alla custodia di Tribù una volta vicine al regime, come i Khadafa ed i Magarha, alleati dei Tuareg e concentrati nell’area nord occidentale della Libia.
Non soltanto sostanze chimiche, ma anche materiale radioattivo già segnalato il 23 settembre del 2011 da forze rivoluzionare libiche che lo avevano rinvenuto a Sabha, a circa 750 chilometri da Tripoli. Centinaia di fusti con sostanze radioattive e sacchi di plastica gialla. Notizia che riscontrava quanto già noto all’Agenzia Atomica (AIEA) sull’esistenza in Libia di depositi di materiale nucleare, anche se non ne era conosciuta l’esatta natura e consistenza rispetto a quanto dichiarato a suo tempo da Gheddafi.
A Sabha, inoltre, furono trovati immagazzinati centinaia di proiettili contenenti iprite fabbricati in Corea insieme a bidoni e sacchi sigillati con nastro adesivo con riportate scritte solo in inglese e senza nessuna notazione in arabo. Nelle sacche di plastica una polvere gialla. Materiale che con ogni probabilità potrebbe essere “yeollowcake” (torta gialla), scoria dei processi di purificazione dei minerali che contengono uranio. In sintesi, ossidi di uranio (biossido e triossido) con scarsa valenza radioattiva, ma molto tossici se ingeriti o inalati.
Gheddafi è stato frettolosamente trucidato. Con la sua morte è diventato tombale il segreto su dove poteva essere nascosto il materiale nucleare e chimico e, soprattutto, chi nel tempo aveva fornito alla Libia le necessarie materie prime e le tecnologie per trattare l’uranio e fabbricare gas letali.
L’Isis sta dilagando nel Paese sicuramente aiutato da ex combattenti di Al Qaeda che conoscono bene il territorio e sanno esattamente dove attingere per appropriarsi di sostanze non convenzionali sia chimiche sia nucleari. La vera minaccia per l’Occidente è questa.