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LA MINACCIA OSCURA IN TERRA SANTA

Il simbolo dell’Isis è sbarcato in Terra Santa. Per ora si tratta solo di volantini di un sedicente “Stato islamico di Palestina” prima, e di un” Emirato di Gerusalemme” poi, che riportano intimidazioni ai cristiani. Un’operazione che ha il sapore del marketing del terrore più che della minaccia vera e propria di azioni in loco. Almeno per ora. Ma intanto si è alzata l’asticella della preoccupazione. D’altronde il periodo storico è quello che è, le carneficine rimbalzano via web in ogni parte del globo e persino Papa Francesco ha invitato a non sottovalutare “le atroci, disumane e inspiegabili persecuzioni, purtroppo ancora oggi presenti in tante parti del mondo, spesso sotto gli occhi e nel silenzio di tutti”.

Il primo a denunciare la presenza di questi “volantini neri” è stato il quotidiano israeliano Haarets, che però ha anche sottolineato come lo Shin Bert, il servizio di sicurezza interno israeliano, non abbia aperto alcun fascicolo. Ora la provocazione ritorna, a distanza di pochi giorni, con un nuovo manifestino.

Stavolta il testo è stato fatto trovare nel quartiere gerosolimitano di Beit Hanina, e ripetere le intimidazioni già espresse prima, preannunciando la cacciata di tutti i cristiani dalla Città Santa entro la fine del Ramadan. Nei messaggi i cristiani vengono definiti “agenti d’Israele” e minacce sono state rivolte anche al presidente dell’Autorità palestinese Mahmud Abbas.

E’ molto difficile capire quale sia il limite tra la reale minaccia e la propaganda. E se vogliamo dare per buona la seconda ipotesi, capire se sia di matrice jihadista o addirittura interna, fatta da qualcuno che – come ha detto anche il governo dell’Autorità palestinese – “tenta di danneggiare l’unità del popolo e di fomentare il conflitto nella Città Santa”.

Già, perché oltre agli orrori delle decapitazioni, resta da comprendere quanto sia attiva il proselitismo fondamentalista, che ha già fatto un uso massiccio di video girati con tecniche hollywoodiane, di anatemi più o meno credibili su Roma e i suoi palazzi, nonché riprese delle distruzioni di monumenti infierendo su inerti pietre millenarie; il tutto cercando la massima aspettativa e diffusione mediatica. La “guerra santa” del Califfato procede su binari paralleli, dunque, il che da un punto di vista globale la rende ancora più pericolosa.

Ma c’è anche chi potrebbe lucrare sulla paura indotta dall’Isis, per interessi politici oppure economici.
In questo caos generale, con la paura che serpeggia e l’intolleranza religiosa che cova sotto la cenere, risultano particolarmente significative le reazioni della Chiesa di Gerusalemme e dei musulmani. Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini, l’arcivescovo Theodosios di Sebastia del patriarcato greco-ortodosso hanno fatto sapere di non sentire “la pressione di questi gruppi di invasati, ma certo l’episodio ha destato preoccupazione tra una parte dei cristiani”. Stesso tenore da parte di autorità musulmane locali che si sono affrettate a condannare le minacce – come riporta padre Raed – e a sottolineare che “saranno i primi a difendere i loro fratelli cristiani”.

 

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