Possibile che un Paese debba essere ostaggio di una legge elettorale? Anzi del dibattito che ne precede l’ultimo miglio parlamentare? E davvero le sorti dell’Italia dipendono dall’Italicum? O, forse, nulla è come sembra e dietro a questo surreale confronto- scontro, in realtà, si cela l’ennesimo gioco di potere? Più che un rosario di domande retoriche, ciò che sta attorno al dibattito sulla legge elettorale che verrà è una catena di dubbi, di profonde incertezze, intimamente concatenate fra loro, destinate a sfociare nel grande rebus: gli elettori italiani sanno davvero qual è la ragione del contendere? La sensazione, sempre più forte, è che fra la percezione che gli italiani hanno della legge elettorale rispetto a quanto vanno sostenendo le forze politiche in campo vi sia una distanza siderale. Che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, prova ridurre rimarcando sistematicamente il concetto della “governabilità”, affermando che questo è l’asse attorno al quale ruota l’Italicum. “C’è il sentimento forte che l’Italia si è smossa, che finalmente ci siamo rimessi in moto”, sostiene il premier durante il suo intervento alla direzione nazionale del Pd, “c’è un aumento di credibilità di portata straordinaria. Bloccare la legge elettorale adesso sarebbe un colpo a quella credibilità. Dirlo non è un aut aut ma è l’esito di un lavoro portato avanti per 13 mesi perché abbiamo fatto uno sforzo per capirci con un continuo lavoro in corso”.
Credibilità dunque, è il nuovo mantra della campagna di primavera del capo del governo, che ha deciso di bruciare tutte le tappe per l’approvazione del testo. “”Il 27 aprile dobbiamo essere in Aula, come calendarizzato dalla capigruppo. E a maggio dobbiamo mettere la parola fine a questa discussione. Continuare a rimandare non serve a nessuno”, dice Renzi, dimostrando che il gioco al massacro è davvero iniziato: “o con me o contro di me”. E stavolta la ballerina minoranza Dem è costretta a scegliere. Per una ragione molto semplice.
Come il Gatto e la Volpe della celebre canzone di Edoardo Bennato anche noi vorremmo chiedere al premier “quanta fretta ma dove corri, ma dove vai?”. Ma sappiamo già che la risposta del burattino senza fili sarebbe lapidaria: “Verso la svolta”. Sì, ma quale? Quella che porta al voto nel 2016 per chiudere i conti con tutti? Perché l’idea che una legge elettorale, difficile da digerire e ancor più difficile da decifrare, serva proprio ora non può non sposarsi all’ipotesi che le elezioni anticipate siano nei piani del premier. Del resto “se non ora quando”? Ovvero quando ricapita l’occasione di prendersi tutto? Fermiamoci un attimo è torniamo alla casella di partenza di questo complicato gioco dell’oca elettorale.
Le parole chiave sono proporzionale, premi di maggioranza, soglie di sbarramento, circoscrizioni provinciali e doppio turno. Sono questi gli elementi dell’Italicum, il sistema elettorale che dovrebbe sostituire il Porcellum e garantire rappresentatività e governabilità all’Italia, nato dall’accordo Renzi-Berlusconi ai tempi del Nazareno, però modificato più volte, prima in un incontro Berlusconi-Renzi del 29 gennaio, poi con un accordo di maggioranza a cui l’ex Cav ha dato un sostanziale via libera prima il 12 novembre e poi il 25 novembre. La base è quella del sistema elettorale spagnolo, ma modificato per adattarlo alle richieste dei partiti italiani fino quasi a stravolgerlo. Il meccanismo sarà proporzionale (ovvero il numero di seggi verrà assegnato in proporzione ai voti ricevuti) e il calcolo sarà fatto su base nazionale e non provinciale come quello iberico, utilizzando la regola “dei più alti resti”. Questo dovrebbe favorire almeno parzialmente i partiti più piccoli, che con un calcolo su base provinciale sarebbero stati molto penalizzati.
Come detto, si è andati incontro ai partiti più piccoli prevedendo una distribuzione dei seggi su base nazionale ma al tempo stesso, per limitare il proliferare di gruppi parlamentari, al riparto potranno accedere solo le liste che supereranno la soglia del 3%. È prevista anche una soglia per le minoranze linguistiche nelle regioni che le prevedono: lo sbarramento è del 20% dei voti validi nella circoscrizione dove si presenta. Nel caso in cui un partito che facesse parte della coalizione che ottiene il premio di maggioranza non superasse la soglia di sbarramento, i suoi voti concorrerebbero al raggiungimento del premio ma sarebbe comunque escluso dal riparto dei seggi, che sarebbero redistribuiti agli altri partiti della coalizione. È invece saltato l’accordo per la norma “salva Lega”, la quale prevedeva che i partiti che ottenessero almeno il 9% in almeno tre regioni rientrassero comunque in Parlamento.
Infine sono due i sistemi ideati per garantire la governabilità. Se la lista più votata dovesse ottenere almeno il 40% dei voti (soglia alzata dal 35% al 37% e poi al finale 40%), otterrà un premio di maggioranza. Il premio assegnerà alla lista più votata 340 seggi su 617 (sono esclusi dal calcolo il seggio della Valle d’Aosta e i 12 deputati eletti all’estero): si tratta del 55% dei seggi. Se invece nessun partito o coalizione arrivasse al 40% scatterebbe un secondo turno elettorale per assegnare il premio di maggioranza. Accederebbero al secondo turno le due liste più votate al primo turno, e il vincente otterrà un premio di maggioranza tale da arrivare al 53% dei seggi (327 deputati). Fra il primo e il secondo turno non sono possibili apparentamenti, a differenza del modello elettorale per i sindaci. In ultimo i capilista potranno essere inseriti nelle liste in più di un collegio elettorale, come già succedeva nel Porcellum, ma fino a un massimo di 10.
Nella prima bozza questa possibilità era esclusa. Semplice no? Semplice per chi se lo è costruito addosso, un po’ meno per chi dovrà esercitare il diritto di voto. Per l’elettore, in pratica, la decifratura dell’enigma Italicum è pressoché impossibile. Ecco perché Renzi ha fretta di andare all’incasso con un conto che si è scritto da solo.