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Istanbul Başakşehir campione, l’alloro sportivo di Erdogan

Il Başakşehir vince il campionato, il primo in trent'anni di vita e tre giri di boa: il quarto attore di Istanbul si prende la scena, collegando calcio e politica

Appena trent’anni di esistenza ma già due vite per l’Istanbul Başakşehir. Anzi, forse pure tre se si considera un giro di boa anche il cambio di nome. Sì, perché fino al 2014 il nome era Istanbul Büyükşehir Belediyespor, con buona pace per la pretesa di rappresentare il quartiere della borghesia filopresidenziale. Tre date, tre punti di svolta: fondazione, promozione in SuperLig e campionato vinto. Legittimazione sportiva per Erdogan più che per una rappresentanza della tifoseria della capitale, visto che il Başakşehir di tifosi non ne ha nemmeno così tanti, nonostante uno stadio di ultima generazione da quasi ventimila posti edificato in tre anni al di qua del Bosforo. Başakşehir campione, e in fondo non è una sorpresa: merito di investimenti che, per un campionato come quello turco, hanno dimostrato di fare la differenza, perlomeno pareggiando il divario con una tradizione sportiva di lungo corso. In grado, col tempo, di mettersi alle spalle squadre come Galatasaray, Besiktas e Fenerbhace.

Le tre vite del Başakşehir

Tre punti x si diceva. Quasi vent’anni di serie inferiori, poi la prima volta in SuperLig nel 2007, retrocessione e risalita (con cambio di nome) ed è storia contemporanea. Da lì, il Başakşehir staziona stabilmente nelle zone alte, quattro volte sul podio su sei stagioni e la dimostrazione che la vicinanza alle alte sfere può aiutare (anche se non fare tutto, naturalmente). L’anno di grazia 2014, stagione in cui il Başakşehir viene rilevato da una cordata di imprenditori vicina all’Akp, il partito principe in Turchia, segna la svolta definitiva. E, in un certo senso, l’allargamento della strategia di accentramento di Erdogan all’ambito sportivo. Del resto, in Turchia come nella stragrande maggioranza dei Paesi europei (perché nel calcio di Europa si tratta), il pallone rappresenta buona parte degli introiti interni. E una ricca fonte di investimenti, anche se finora limitata ai grandi nomi (basti pensare al Galatasaray di Drogba e Sneijder o al Besiktas di Quaresma, Kagawa e Adriano).

Dal Comune al Governo

Niente di strano che, prima o poi, anche il megapartito arrivasse a buttarci l’occhio. Il Başakşehir sorge quasi dal nulla, si piazza all’Ataturk (80 mila posti) e viene guardato quasi con spregio dai tre colossi calcistici che si erano spartite da decenni successi, rivalità e popolazione a Istanbul. I bluarancio, ex proprietà del Comune (e già identificati come rappresentanza del governo), si inseriscono relativamente tardi nei vertici del panorama calcistico nazionale, guadagnandosi però (quasi un record) l’avversione comune delle tre big sul Mar di Marmara. Unico, vero punto di contatto fra tre società che, per il resto, sono rivali per storia, tradizione e appartenenza sociale. Che vincessero il campionato era solo questione di tempo. Anche perché, a guardare la rosa campione di Turchia, la strategia seguita non è stata poi diversa da quella delle altre società: squadra infarcita di ex grandi stelle del calcio europeo (Robinho, Clichy, Arda Turan, Elia, Inler, solo per fare alcuni nomi) e fondi sufficienti a colmare il gap di quasi un secolo di tradizione sportiva.

Certo, poi serve anche il campo e la squadra di Okan Buruk l’ha risposta l’ha saputa dare laddove la stessa strategia aveva dimostrato di non funzionare in altri contesti, tipo l’Anzi in Russia. Altra storia però. Qui l’avversione è semplicemente per un successo che, per i più, significa solo che la politica è arrivata a prendersi il calcio. E il quarto attore di Istanbul, senza storia né tifo, ora è una realtà con cui fare i conti. Come e per quanto lo dirà la storia.

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