Armati gli uni contro gli altri. Distanti, non solo sul campo di battaglia, ma anche sulle ipotesi diplomatiche. Tra israeliani e palestinesi c’è troppa diffidenza per dare respinto a qualunque ipotesi di apertura. Dietro ogni parola c’è il sospetto dell’inganno, così come durante ogni tregua c’era sempre già un missile pronto a partire. L’ultimo capitolo di questa infinita serie di proposte è stato scritto da Netanyahu, disposto a tornare al tavolo negoziale e a discutere con i palestinesi dei confini delle colonie ebraiche in Cisgiordania. Una mossa – rivelata da una fonte ufficiale ad Haaretz – che Benyamin Netanyahu ha fatto al capo della diplomazia europea Federica Mogherini durante la visita di lady Pesc nella regione. Un’apertura – così è giudicata dai media israeliani – che però è stata bocciata dai palestinesi: l’Olp, a stretto giro di posta, ha fatto sapere di non essere d’accordo con una simile impostazione.
Netanyahu – secondo la fonte citata dal giornale – ha calato la sua idea durante una riunione ristretta con la Mogherini: accanto a lui sedevano il consigliere della sicurezza nazionale Yossi Cohen e l’inviato del primo ministro per il processo di pace Isaac Molho. La proposta nasce dalla convinzione israeliana che in qualunque accordo di pace, quelle colonie – almeno la parte più consistente – dovrà restare entro i confini dello stato ebraico, grazie anche a ipotetici scambi di territorio con i palestinesi. E se i negoziati andassero in porto, Israele – ha spiegato Netanyahu – saprebbe di poter continuare a costruire in quelle stesse colonie.
Questo – ha fatto notare Haaretz – vuol dire anche che verrebbero congelate le costruzioni al di fuori dei blocchi delle principali colonie. Secondo la fonte, l’obiettivo principale del premier nella riunione ristretta è stato mostrare ”prontezza e anche premura per un ripresa dei colloqui, vista la profonda sfiducia dell’Europa nei suoi confronti in merito al dossier palestinese”.
Del resto Israele si trova a fronteggiare il possibile varo a breve da parte della Ue dell’etichettatura dei prodotti provenienti dalle colonie, oltre alla volontà della Francia di presentare all’Onu una risoluzione che metta fine al conflitto palestinese e, non ultima, la determinazione dell’amministrazione americana di Barack Obama nel perseguire la soluzione a due Stati. E non è un caso che Netanyahu abbia terminato la riunione con Mogherini affermando pubblicamente, in una sorta di dichiarazione di principi, di essere sempre impegnato nell’obiettivo di ”due stati per due popoli” e di volere una Palestina smilitarizzata accanto a Israele. Un cambio di linea ad esempio rispetto alle dichiarazioni pre-voto quando Netanyahu sostenne che, con lui premier, lo stato palestinese non ci sarebbe mai stato.
Fatto sta che la proposta del primo ministro – accolta con prudenza secondo la stessa fonte da Mogherini che ha parlato della necessità di ”atti concreti sul campo” – è stata ribadita dal neo ministro della sicurezza Gilad Erdan. ”Nessuno dovrebbe essere sorpreso, questa – ha detto – è sempre stata la posizione del premier. Tutti nel Likud sanno – ha spiegato – che se mai ci sarà un partner per la pace, ci saranno concessioni territoriali”. Erdan ha però messo in dubbio che Mogherini possa convincere il leader palestinese Abu Mazen a tornare al tavolo delle trattative. L’idea del premier e’ stata accolta con favore anche da Shas (al governo) che si è detto a favore della ripresa del processo di pace.
Nettamente contraria la risposta da Ramallah del negoziatore capo palestinese Saeb Erekat: se Netanyahu vuole negoziati “significativi deve mettere fine dell’occupazione iniziata nel 1967; riconoscere uno Stato palestinese basato sui confini del 1967; e onorare gli obblighi di Israele, tra cui lo stop alla costruzione degli insediamenti e la liberazione dei prigionieri palestinesi”. Le parti sono lontane; e nella serata di ieri, tanto per non essere fraintesi, cinque razzi sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza colpendo il sud di Israele.
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