E’ diventato l’incubo degli italiani e in particolare dei romani: ritrovarci questi folli estremisti occupare il simbolo della Cristianità e del nostro Paese. Il brusco risveglio dai chiacchiericci politici di casa nostra è arrivato dalla voce profonda e ostile che pronunciava la parola Roma seguita da una serie di minacce. Il video dell’Isis diffuso sul web e immediatamente divenuto virale, è realizzato con la solita ottima regia: pieno di simbolismi enfatizzati da una fotografia da premio Oscar. Così l’Italia ha scoperto di essere in pericolo. I politici ciarlieri preferiscono puntare il dito sui migranti e sugli avversari ma la realtà è un’altra. Il Califfato ha bene in mente i suoi obiettivi e i suoi nemici. E non da ieri.
1) La Cattedra di Pietro fa di Roma e dell’Italia il simbolo antico di quella cristianità che nel nome di Dio portò la guerra contro gli arabi musulmani in Terra santa intorno all’anno Mille. E per i nostalgici dell’Islam estremo sembra una ferita aperta nonostante quella delle crociate fu un’avventura che vide i principi arabi vincitori. L’sis, nel tentativo di prendere il sopravvento nel mondo musulmano sunnita, rispolvera la guerra di religione e usa il termine “crociata” con l’unico scopo di far breccia sulle menti di tanti giovani, poco istruiti ma pieni di risentimento contro i propri governanti in primis e contro un generalizzato Occidente.
2) L’Italia, poi, è nel mirino perché dal 2001 fa parte di quella coalizione che ha “invaso” l’Afghanistan contribuendo alla distruzione dell’Emirato islamico dei talebani che per sei anni era stato un esempio di nazione costruita sui principi della Sharia. Paese per il quale avevano combattuto in tanti e nel quale viveva Osama bin Laden, leader di Al Qaeda, espressione alta della globalizzazione della jihad e del revanscismo islamista. Non bastasse questo, gli italiani sono andati in Iraq nel 2003 a sostegno della guerra di Bush e degli Stati Uniti. Secondo gli islamisti dell’Isis quella guerra non fu contro Saddam ma contro la Sunna, cioè la comunità sunnita per favorire il potere degli sciiti e dei cristiani in quel Paese e impadronirsi delle risorse petrolifere. Sotto la bandiera nera sono molti i generali di Saddam Hussein sfuggiti alla cattura.
3) Altro casus belli, più nello specifico legato all’attuale conflitto in Siria e Iraq, è l’appoggio italiano dato ai peshmerga curdi con armi e istruttori al fianco di quell’”alleanza di volenterosi” considerata dai jihadhsti un gruppo di infedeli alleatesi con i traditori apostati che governano i Paesi arabi. Quei Paesi che il Califfato vuole conquistare per impadronirsi di tutto il Medio Oriente e il Nord Africa.
4) Non si può escludere che il diffondersi anche nel nostro Paese di ideologie razziste e xenofobe urlate in ogni dove, dai media ufficiali ai social network, siano altrettanta benzina sul fuoco. La comunicazione globale è utilizzata per scatenare la controffensiva mediatica del Califfato che prende pretesto da certe dichiarazioni per considerarle vere e proprie dichiarazioni di guerra. E usa questo grimaldello per fare breccia sulle paure degli stranieri che vivono in Italia trasformandoli in possibili “soldati”.
5) L’Italia viene ricordata ancora come una potenza coloniale. Questo soprattutto da parte di quei gruppi che in Libia hanno scelto di abbracciare la bandiera dell’Isis. I rapporti e le alleanze con i governi dei dittatori arabi, prima e dopo le “primavere” sono considerati altrettanti motivi per dichiararci guerra. L’adesione all’Isis
6) Il fatto che i migranti riescano ad arrivare in massa sulle nostre coste presenta uno scenario inquietante: se barconi di disperati riescono a trovare la via del nostro Paese, risulta una preoccupazione pensare che imbarcazioni organizzate possano trasportare terroristi coprendo le poche centinaia di miglia marine che separano il belpaese dall’Africa.
Ma attenzione, l’Isis sfrutta abilmente la propaganda e i social network per colpirci dietro le linee sul nostro stesso terreno. Entra nelle nostre case e incute timore senza sprecare pallottole. La paura e le ansie sono di per se stesse altrettante vittorie per il Califfato. Dal punto di vista militare, una qualsiasi nazione europea potrebbe spazzare via i miliziani in sette giorni. E allora il Califfato usa la sua arma migliore: il terrore. Un solo jihadista può colpire la nostra società libera e indifesa allo stesso tempo. Senza fare una strage basta che un “uomo in nero” colpisca a caso una delle nostre città e si scatenerebbe il panico.
La forza della morale e della cultura sta nella fermezza e nel non cadere negli stereotipi che l’Isis, e anche qualche xenofobo di casa nostra, vuole diffondere per scatenare un conflitto di civiltà. Al primo posto della nostra strategia deve stare proprio il superamento dell’ignoranza, senza dimenticare l’importanza di politiche della sicurezza basate, non sull’isteria e la demagogia, ma sull’intelligence e il controllo del territorio, anche oltre confine, per prevenire e arginare i tagliagole che hanno tradito anche Allah.