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Il tempo della testimonianza

Il brano del vangelo odierno ci presenta la cosiddetta confessione di Pietro a Cesarea di Filippo, episodio raccontato anche da San Matteo e San Luca. Il vangelo di San Marco, scritto pensando soprattutto ai catecumeni, ha proprio come tema di fondo l’identità di Gesù. Una domanda lo percorre dall’inizio alla fine: “Chi è mai costui?” (Mc 4,41). Il titolo che San Marco aveva dato al suo vangelo era: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (1,1). Con il brano di oggi siamo giunti al centro dell’itinerario che ci propone il suo vangelo: “Tu sei il Cristo!”. La confessione di fede nella messianità di Gesù è il primo grande traguardo e segnala il punto di svolta verso una seconda tappa, quella del riconoscimento della sua figliolanza divina, che avverrà presso la croce: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (15,39).

“Tu sei il Cristo!”. Mentre la folla intuisce che Gesù è un personaggio speciale, ma l’interpreta con le categorie del passato (Giovanni il Battista, Elia o uno dei profeti), Pietro vede in Gesù il Messia, colui che Israele attendeva da secoli, annunciato dai profeti. Una figura, quindi, che viene “dal futuro”, in quanto promessa di Dio, e si proietta nell’avvenire come speranza di Israele.

La parola ebraica Mashiah o Messiah, tradotta “Cristo” in greco, significa “Unto”. Unti (con l’olio profumato) erano i re, i profeti e i sacerdoti al momento della loro elezione. Col tempo, il Messia, il Cristo, l’Unto per eccellenza era diventato il liberatore escatologico atteso dal popolo di Dio, da alcuni ritenuto di stirpe sacerdotale, da altri di stirpe regale.

Gesù era il Messia, il Cristo. Lo riconosce lui stesso durante l’interrogatorio davanti al sinedrio: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto? Gesù rispose: Io lo sono!” (Mc 14,60-61), suscitando lo scandalo del sommo sacerdote. Perché allora Gesù impose il silenzio agli apostoli, “ordinando loro severamente di non parlare di lui ad alcuno”? Perché quel titolo era carico di aspettative terrene e di ambiguità. Israele si attendeva un Messia terrestre e glorioso, mentre Gesù sarebbe stato un Messia sconfitto ed umiliato. Solo dopo la sua passione e morte, quando divenne chiaro che tipo di messianismo era il suo – cioè, quello del “Servo di Jahvè” della prima lettura -, allora il titolo Cristo diventò il suo secondo nome. Lo troviamo più di 500 volte nel nuovo testamento, quasi sempre come nome composito: Gesù Cristo, o Nostro Signore Gesù Cristo.

Gesù “cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto… e faceva questo discorso apertamente”. “Cominciò”: si tratta di un nuovo inizio! Ogni tappa raggiunta diventa una nuova partenza, perché Dio è sempre oltre. La nuova tappa è quella della croce, parola che appare qui in San Marco per la prima volta. E qui Pietro, fiero di aver vinto la tappa precedente, inciampa subito, anzi diventa lui stesso pietra d’inciampo (Mt 16,23).

A questo nuovo inizio corrisponde una nuova vocazione, rivolta sia ai discepoli che alla folla: “Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Questa nuova tappa non è per semplici simpatizzanti o dilettanti. La strada si fa ardua. Si tratta di portare la croce (ogni giorno, dice Luca), cioè, assumere la propria realtà, senza sognarne un’altra, e mettersi alla sequela di Gesù. La messa in gioco è grande: guadagnare o perdere la propria vita, quella vera!

Spunti di riflessione

“Ma voi, chi dite che io sia?” Questa domanda interroga i discepoli di Gesù di ogni tempo e richiede da noi una risposta personale, cosciente ed esistenziale. Il parere della gente lo conosciamo bene. Per molti Gesù di Nazareth è un personaggio speciale della storia, un sognatore o un rivoluzionario. Per la maggioranza, tuttavia, è una figura del passato che ha fatto il suo tempo. “Ma per voi, per te chi sono io?”. La congiunzione avversativa “ma” che precede la domanda ci contrapporrà sempre al parere comune. Il discepolo di Gesù si distacca dalla folla anonima per una professione di fede in Gesù di Nazareth come il Messia, il Cristo, consacrato con l’unzione e mandato a portare al mondo la Liberazione (Luca 4,18-21).

Per il cristiano, Cristo è la chiave della storia e il senso della vita. “Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente”, “il Primo e l’Ultimo, e il Vivente”, “il Principio e la Fine” (Apocalisse 1,8; 1,17-18; 21,6; 22,13). Senza il suo “Io Sono”, io non sono. Come pregava Ilario di Poitiers (+367): “Prima di conoscere te, non esistevo, ero infelice, il senso della vita mi era ignoto e nella mia ignoranza il mio essere profondo mi sfuggiva. Grazie alla tua misericordia, ho cominciato ad esistere”.

Confessare che Gesù è il Cristo implica essere pronto a subire il suo stesso destino. Il nostro sarà sempre più un tempo di martiri, di testimoni. Non sarà un martirio glorioso ed eroico, ma umile e nascosto. Il cristiano è colui che accoglie, e custodisce “la testimonianza di Gesù” (Apocalisse 1,2.9; 12,17; 19,10; 20,4), il “Testimone fedele” (1,5; 3,14) per comunicare all’umanità: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Giovanni 3,16).

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