Non è soltanto una novità, l’istituzione del Dicastero vaticano per il Servizio allo sviluppo umano integrale, che sarà guidato dal Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, il quale finora presiedeva il Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, integrato nel nuovo organismo, insieme ai Pontifici Consigli per i Migranti e gli itineranti, per la Pastorale degli operatori sanitari e Cor Unum. È una rivoluzione, culturale e civile, oltre che di amministrazione ecclesiastica. Per la prima volta, si introduce il termine “servizio” come finalità di una istituzione pontificia, pur essendo implicitamente questo lo scopo di ogni istituto della Santa Sede. E lo sviluppo umano integrale esce dai confini dei discorsi pubblici, della discussione filosofica, del dialogo interculturale, dei dibattiti specialistici, dei documenti ufficiali, per diventare una questione ordinaria e allo stesso tempo vitale della comunità umana e religiosa.
Il nuovo Dicastero, istituito con Motu Proprio del 17 agosto scorso, e che comprende le Commissioni per la Carità, per l’Ecologia e per gli Operatori sanitari e sovrintende a Caritas Internationalis, sarà operativo dal primo gennaio 2017. Al paragrafo quarto del primo articolo dello statuto si legge di un’altra novità, anch’essa rivoluzionaria, che riguarda la gestione dell’istituto: “Una Sezione del Dicastero si occupa specificamente di quanto concerne i profughi e migranti. Questa Sezione è posta ad tempus sotto la guida del Sommo Pontefice, che la esercita nei modi che ritiene opportuni”. Papa Francesco avoca a sé, dunque, la cura pastorale dei migranti e degli itineranti, dei profughi, dei richiedenti asilo, di coloro che sono viandanti non soltanto per condizione antropologica o per scelta esistenziale, ma in quanto costretti ad abbandonare casa e affetti, Paese di origine e identità di appartenenza, per cercare un rifugio al futuro di vite difficili, a volte tragiche.
“Il dicastero – si legge nello statuto – esprime pure la sollecitudine del Sommo Pontefice verso l’umanità sofferente, tra cui i bisognosi, i malati e gli esclusi, e segue con la dovuta attenzione le questioni attinenti alle necessità di quanti sono costretti ad abbandonare la propria patria o ne sono privi, gli emarginati, le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime delle forme contemporanee di schiavitù e di tortura e le altre persone la cui dignità è a rischio”. In questa prospettiva missionaria, “promuove lo sviluppo umano integrale alla luce del Vangelo e nel solco della dottrina sociale della Chiesa. Tale sviluppo si attua mediante la cura per i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato. Il Successore dell’apostolo Pietro, nella Sua opera in favore dell’affermazione di tali valori, adatta continuamente gli organismi che collaborano con Lui, affinchè possano meglio venire incontro alle esigenze degli uomini e delle donne che essi sono chiamati a servire”.
Il concetto di “sviluppo umano integrale” compare per la prima volta con questa espressione nella Lettera Enciclica di Paolo VI “Populorum Progressio”, pubblicata il 26 marzo 1967. Fu riproposto più volte da Giovanni Paolo II e poi anche da Benedetto XVI, in “Caritas in Veritate”. La situazione sociale in cui Papa Montini maturò questa definizione, come visione antropologica alla luce del Vangelo e come proposta ai problemi dell’umanità del suo tempo, era non troppo dissimile da quella attuale, o forse perfino meno grave rispetto alla diffusa ingiustizia civile ed economica, per le intollerabili discriminazioni per l’accesso ai diritti e differenze nella distribuzione e nell’uso delle ricchezze. Lo sviluppo umano integrale riguarda tute le dimensioni della vita umana, del singolo e come comunità, “di ogni uomo e di tutto l’uomo”, come “vero sviluppo” di ogni persona e dell’umanità, ed è quindi, come disse Papa Ratizinger, anche solidale. Fa riferimento a un’etica di responsabilità e di solidarietà, di fraternità.
“La questione sociale è questione morale”, si legge nel titolo di Introduzione alla “Populorum Progressio”. “La questione sociale è diventata radicalmente una questione antropologica”, scriveva Benedetto XVI. La questione sociale è morale, antropologica, evangelica, dice oggi Papa Francesco. E con l’istituzione di questo nuovo Dicastero, porta a compimento l’invito di fedeltà al Vangelo presente fin dall’articolo 1 dell’Enciclica sociale di Papa Paolo VI, a un’azione solidale, concreta, per una svolta nella storia dell’umanità e della Chiesa: “Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della chiesa. All’indomani del Concilio ecumenico Vaticano II, una rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico le impone di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le dimensioni di tale grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione solidale in questa svolta della storia dell’umanità”.