Papa Francesco ha incontrato Fidel Castro all’Avana. A riferirlo è stato il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Il faccia a faccia è avvenuto nella residenza dell’anziano leader cubano dove erano presenti una quindicina di persone, principalmente familiari di Fidel. Il vescovo di Roma, accompagnato dal nunzio apostolico a Cuba, monsignor Giorgio Lingua e da altri del seguito, ha donato all’artefice della rivoluzione due testi tradotti in spagnolo del sacerdote italiano Alessandro Pronzato, “La nostra bocca si aprì al sorriso” e il volume “Vangeli scomodi”; una raccolta di discorsi e prediche, anche con registrazione in due cd, di padre Armando Llorente, che fu insegnante dello stesso Fidel Castro al collegio dei gesuiti di Belen. Inoltre il successore di Pietro ha regalato la sua enciclica “Laudato si'” e la sua esortazione “Evangelii gaudium”. Castro ha ricambiato col libro di Frei Betto, “Fidel e la religione”, scrivendo una dedica: “Per Papa Francesco in occasione della sua visita a Cuba con l’ammirazione il rispetto del popolo cubano”.
Dopo l’incontro con Fidel il Santo Padre si è recato al palazzo presidenziale per una visita di cortesia a Raul, fratello del Lider Maximo. Il Papa ha donato al presidente cubano un mosaico raffigurante la Virgen de la Caridad del Cobre, patrona dell’isola caraibica. Il lavoro necessario alla realizzazione dell’opera è stato enorme. Gli smalti policromi sono stati applicati con stucco oleoso su una base metallica. Lo stucco, a base di olio di lino e polvere di marmo, ha la stessa composizione di quello utilizzato nei secoli scorsi per applicare i mosaici nella Basilica di San Pietro. Nella realizzazione dell’immagine è stata utilizzata sia la tecnica degli smalti tagliati che quella degli smalti filati, tipica dello Studio del Mosaico Vaticano. Con quest’ultima tecnica, inventata nella seconda metà del XVIII secolo, tutte le varie tonalità di colore sono ottenute miscelando ad altissime temperature gli smalti vetrosi. Gli smalti policromi così ottenuti rendono l’intensità dei colori e la proporzione delle figure in modo da garantire una chiara e armoniosa visione.
Per Bergoglio è stata una giornata densa di impegni, iniziata con la Messa in Plaza de la Rivolucion. “Chi non vive per servire, non serve per vivere” è stato il messaggio del Papa dal luogo simbolo della rivolta cubana, dove ancora campeggia il murales di Ernesto “Che” Guevara e in cui ha celebrato la Messa domenicale. Nell’Omelia il Pontefice ha commentato il passo del Vangelo di Marco in cui gli Apostoli discutono fra loro su “chi fosse il più grande”. “I discepoli – ha spiegato – avevano vergogna di dire a Gesù di cosa stavano parlando. Nei discepoli di ieri, come in noi oggi, si può riscontrare la medesima discussione: “Chi è il più importante?” Si tratta di un quesito che “ci accompagnerà per tutta la vita e alla quale saremo chiamati a rispondere nelle diverse fasi dell’esistenza. Non possiamo sfuggire a questa domanda, è impressa nel cuore”. Persino in famiglia, ha sottolineato in Santo Padre, “ho sentito più di una volta domandare ai figli: ‘A chi volete più bene, al papà o alla mamma?”. E’ come chiedere, ha aggiunto, “chi è più importante per voi? Questa domanda è davvero solo un semplice gioco per bambini? La storia dell’umanità è stata segnata dal modo di rispondere a questa domanda”.
Il Signore, ha ricordato Bergoglio alla folla,” non teme le domande degli uomini; non ha paura dell’umanità, né dei diversi interrogativi che essa pone. Al contrario, Egli conosce i recessi del cuore umano, e come buon pedagogo è sempre disposto ad accompagnarci. Fedele al suo stile, fa propri i nostri interrogativi ed aspirazioni e conferisce ad essi un nuovo orizzonte. Riesce a dare una risposta capace di porre una nuova sfida, spiazzando le “risposte attese” o ciò che era apparentemente già stabilito. Gesù pone sempre in atto la logica dell’amore. Una logica capace di essere vissuta da tutti, perché è per tutti”.
Perché l’orizzonte di Cristo è “lontano da ogni elitarismo” e non è “per pochi privilegiati capaci di giungere alla ‘conoscenza desiderata’ o a distinti livelli di spiritualità. L’orizzonte di Gesù è sempre una proposta per la vita quotidiana, anche qui, nella nostra isola; una proposta che fa sempre sì che la quotidianità abbia il sapore dell’eternità”.
Alla discussione degli Apostoli Gesù risponde con un invito all’umiltà e al servizio. “Se uno vuole essere il primo- dice – sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35). Chi vuole essere grande, serva gli altri, e non si serva degli altri!”. Sta qui, secondo il vescovo di Roma, il grande “paradosso del Signore”. “I discepoli discutevano su chi dovesse occupare il posto più importante, su chi sarebbe stato il privilegiato, su chi sarebbe stato al di sopra della legge comune, della norma generale, per mettersi in risalto con un desiderio di superiorità sugli altri. Chi sarebbe asceso più rapidamente per occupare incarichi che avrebbero dato certi vantaggi”. Gesù, invece, “sconvolge la loro logica dicendo loro semplicemente che la vita autentica si vive nell’impegno concreto con il prossimo”.
L’invito al servizio presenta, dunque, “una peculiarità alla quale dobbiamo fare attenzione. Servire significa, in gran parte, avere cura della fragilità. Avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo. Sono i volti sofferenti, indifesi e afflitti che Gesù propone di guardare e invita concretamente ad amare. Amore che si concretizza in azioni e decisioni. Amore che si manifesta nei differenti compiti che come cittadini siamo chiamati a svolgere. Le persone in carne e ossa con la loro vita, la loro storia e specialmente la loro fragilità sono quelle che siamo invitati da Gesù a difendere, ad assistere, a servire. Perché essere cristiano comporta servire la dignità dei fratelli, lottare per la dignità dei fratelli e vivere per la dignità dei fratelli. Per questo, il cristiano è sempre invitato a mettere da parte le sue esigenze, aspettative, i suoi desideri di onnipotenza davanti allo sguardo concreto dei più fragili”.
Importante è poi distinguere, ha sottolineato Francesco, tra il “servizio che serve e quello che si serve”. Esiste, infatti, una forma del servire che privilegia “i miei in nome del nostro, lasciando fuori i ‘tuoi’, generando una dinamica di esclusione”. Ma la vocazione cristiana ci chiama ad aiutarci a vicenda e a non cadere nelle tentazioni del “servizio che si serve”. “Tutti siamo invitati, stimolati da Gesù – ha proseguito – a farci carico gli uni degli altri per amore. E questo senza guardare accanto per vedere che cosa il vicino fa o non fa. Gesù ci dice: ‘Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti’. Non dice: ‘Se il tuo vicino desidera essere il primo, che serva’. Dobbiamo guardarci dallo sguardo che giudica e incoraggiarci a credere nello sguardo che trasforma, al quale ci invita Gesù”.
Questo farci carico per amore, ha commentato il Papa, “non punta verso un atteggiamento di servilismo, ma al contrario, pone al centro della questione il fratello: il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a soffrirla, e cerca la sua promozione. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone”.
Rivolgendosi ai presenti il Pontefice ha definito i cubani “un popolo che ama la festa, l’amicizia, le cose belle. Un popolo che cammina, che canta e loda. È un popolo che ha delle ferite, come ogni popolo, ma che sa stare con le braccia aperte, che cammina con speranza, perché la sua vocazione è di grandezza. Oggi vi invito a prendervi cura di questa vocazione, a prendervi cura di questi doni che Dio vi ha regalato, ma specialmente voglio invitarvi a prendervi cura e a servire la fragilità dei vostri fratelli. Non trascurateli a causa di progetti che possono apparire seducenti, ma che si disinteressano del volto di chi ti sta accanto. Noi conosciamo, siamo testimoni della ‘forza incomparabile’ della risurrezione che ‘produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo'”.
Dopo la Messa il Papa come di consueto ha recitato l’Angelus domenicale. “Abbiamo ascoltato nel Vangelo come i discepoli avevano paura di interrogare Gesù quando parlava della sua passione e morte – ha esordito -. Li spaventava e non potevano comprendere l’idea di vedere Gesù soffrire sulla croce. Anche noi siamo tentati di fuggire dalle nostre croci e dalle croci degli altri, di allontanarci da chi soffre”. Il Pontefice ha invitato a rivolgere lo sguardo alla Madonna affinché ci insegni a stare vicino alla croce del fratello che soffre. Insieme a Lei, “possiamo capire chi è veramente il più grande, e che cosa significa essere uniti al Signore e partecipare alla sua gloria”. Il Papa ha esortato a imparare da Maria cosa significhi avere “il cuore sveglio e attento alle necessità degli altri. Come ci ha insegnato alle Nozze di Cana, siamo solleciti nei piccoli dettagli della vita, e non smettiamo di pregare gli uni per gli altri, perché a nessuno manchi il vino dell’amore nuovo, della gioia che Gesù ci offre”.
Il Pontefice ha voluto poi rivolgere un pensieri all’amata terra di Colombia. “Che il sangue versato da migliaia di innocenti durante tanti decenni di conflitto armato – ha detto -, unito a quello di Gesù Cristo sulla Croce, sostenga tutti gli sforzi che si stanno facendo, anche in questa bella Isola, per una definitiva riconciliazione. E così la lunga notte del dolore e della violenza, con la volontà di tutti i colombiani, si possa trasformare in un giorno senza tramonto di concordia, giustizia, fraternità e amore, nel rispetto delle istituzioni e del diritto nazionale e internazionale, perché la pace sia duratura. Per favore, non possiamo permetterci un altro fallimento in questo cammino di pace e riconciliazione”.