Lo ricorderemo sempre per quelle “notti magiche” di Gianni Nannini ed Edoardo Bennato, inseguendo un gol. Lui che di gol ne ha fatti (200 gol in carriera e nel mondiale di Italia 90 sei reti e palma di miglior marcatore), ma non è riuscito a fare quello più importante, con la vita che se lo è portato via a 59 anni. Era ricoverato nel reparto di pneumologia dell’ospedale Civico di Palermo, per un tumore al colon dal quale sembrava essere uscito fuori. Negli ultimi giorni la ricaduta, con le condizioni che si sono aggravate fino alla corsa al pronto soccorso e il ricovero. Se ne è andato in silenzio, attorniato dall’amore della sua famiglia e dall’affetto incondizionato di tanti tifosi che fuori l’ospedale hanno atteso l’arrivo di una buona notizia. Che purtroppo non è arrivata.
Una carriera straordinaria per il ragazzo di San Giovanni Apostolo, divenuto l’idolo di una Nazione che inseguiva un sogno. Era l’Italia di Azeglio Vicini che strada facendo si è aggrappata a questo ragazzo e ai suoi occhi spiritati che mostrava in mondovisione subito dopo ogni gol. Era stato convocato quale riserva, ma si è preso la maglia da titolare onorandola fino alla fine. Un gol dietro l’altro che permisero all’Italia di arrivare ad un passo dalla finale mondiale, con gli azzurri frenati solo nella lotteria dagli undici metri che ci ha chiuso le porte dell’ultimo atto. Un sogno infranto, in quello che una volta era Il San Paolo di Napoli, contro l’Argentina di Diego Armando Maradona. Era l’Italia di grandi campioni, Roberto Baggio,Vialli, Baresi, Maldini e Ancelotti, ma è diventata l’Italia dell’eroe sconosciuto, Totò Schillaci.
Messina, Inter, Juventus e Jubilo Iwata dove ha chiuso la carriera. Ragazzo semplice, dalla faccia pulita acqua e sapone, refrattario alla pubblicità. Un gigante in mezzo ai giganti di cui ha sempre tessuto le lodi, perché per lui è stato un grandissimo orgoglio giocare al fianco di tanti campioni che lo hanno accolto e aiutato durante il percorso in maglia azzurra. L’Italia si innamorò di lui senza che Totò si esaltasse troppo per quell’affetto smodato, ma sincero, di un’Italia che forse non viveva di solo calcio, ma che in quell’estate del novanta, fece del football il suo vanto. Totò Schillaci era amato perché era uno di loro, nato in un campo di periferia, quello del quartiere San Giovanni Apostolo a Palermo. Di lui si accorse il Messina (C2) che con i suoi gol (11) contribuì a portare nella serie cadetto. Ad allenatore il professore, Franco Scoglio che di lui ricordava sempre quella voglia incredibile di fare gol. Nato da una famiglia umile, prima di diventare calciatore, ha fatto di tutto, dal gommista, l’ambulante. Messina gli ha cambiato la vita e lui l’ha cambiata al calcio. Da bambino giocava a calcio sull’asfalto come tanti coetanei dell’epoca, al quartiere Cep, uno dei più popolari di Palermo. Una buona stella ma soprattutto la voglia di diventare un calciatore vero. Tutto realizzato, con il solo rimpianto di non aver mai indossato la maglia rosanero del Palermo.
La malattia lo ha segnato, è caduto e si è rialzato, ma quando pensava di aver vinto lui, il demone è tornato a farsi minaccioso. E non c’è stato nulla da fare. Con Totò Schillaci se ne va un’altra faccia bella del calcio. Se ne è andato troppo presto, con mille cose ancora da fare, ma non sempre il tempo dell’estate dura abbastanza per fare ciò che si vuole. E la sua summertime è stata davvero troppo piccola. Ci mancherai tanto, ma il ricordo di quelle corse sfrenate dopo aver inseguito un gol e quegli occhi spiritati, non li cancelleremo mai. Ciao Totò.