Provate per un attimo a chiudere gli occhi e a tendere sole le orecchie, mettendo in pausa gli altri sensi. Tanto nei commenti quanto nelle dichiarazioni di queste ore, che s’intersecano fra loro, sentirete riecheggiare gli accenti del lessico democristiano doc. E un po’ come se al posto di Matteo Renzi ci fosse Amintore Fanfani e Angelino Alfano non fosse altro che un clone, ma in scala molto ridotta, di uno tanti dei segretari del Psdi e o del Pri, se non addirittura del Pli. Difficile pensare ad un Craxi, anche se Renzi ha certamente preso qualcosa dal leader del Partito Socialista morto in “esilio”. Per inciso: le tre sigle sono quelle dei partiti che componevano il quadro della prima Repubblica e servivano sempre e comunque la Dc.
Insomma, l’elezione di Sergio Mattarella è la prima vera vittoria democristiana, con un presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha fatto passare – con l’ok di Giorgio Napolitano – la nomina del capo dello Stato, ma ha anche fatto implodere il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano e ha ricompattato il Pd per ridurre a più miti consigli Silvio Berlusconi e quel che resta di Forza Italia.
Partiamo dal fondo. A cose fatte è diventato chiaro a tutti che il nome che correva nei colloqui fra Silvio e Matteo era quello del giudice della Corte Costituzionale, e non altri, già dall’inizio della partita. Solo che il Cavaliere, convinto di essere tornato al centro della scena, sperava di far cambiare idea al premier in nome e per conto del patto del Nazareno. Probabilmente l’ex presidente del Consiglio deve aver esagerato con le richieste fatte all’inquilino di Palazzo Chigi, al punto da farlo irrigidire sulle proprie posizioni. Che sia stata la grazia o il salvacondotto politico poco importa, è del tutto evidente che Berlusconi aveva deciso di mettere all’incasso le cambiali firmate da Renzi. Solo che “il toscano” di saldare quei conti ha dimostrato di non averne affatto voglia.
Modesto passo indietro. Si dice che la strana storia del 3%, ovvero del salvacondotto per il Cavaliere inserito nella legge di stabilità e saltato all’ultimo minuto, non abbia padre e madre ma solo un patrigno, cioè lo stesso Renzi che se ne è assunto la responsabilità. In realtà a scrivere quel codicillo sarebbero stati Luca Lotti e Denis Verdini, ovvero i mandarini di Renzi e Berlusconi. Con l’elezione di Mattarella il premier ha messo all’angolo entrambi, smontandone i giochi di potere a cui si sono sempre dedicati. Che lo si voglia o no Berlusconi dovrà comunque fare i conti con quanto è avvenuto. E prima lo farà meglio è, dato che il partito non c’è più. E quel che è rimasto non ha più nessun peso specifico.
Ma il passaggio politicamente più significativo riguarda l’Ncd. L’elezione di Mattarella ha messo a nudo il partito di Alfano. Se Renzi deciderà di operare il rimpasto di governo per rendere più forte la compagine di Palazzo Chigi è del tutto evidente che i ministri alfaniani saranno i primi a pagare il conto. L’Ndc si è spaccato in due; tanto per avere un’idea plastica della situazione bastano alcune dichiarazioni. “Mattarella uomo e politico delle Istituzioni. La sua è anche una storia di impegno per malati e persone fragili. Buon lavoro” dice su Twitter il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, mentre Maurizio Sacconi e Barbara Saltamartini hanno deciso di dare le dimissioni dai loro incarichi, dimostrando come sia particolarmente teso il clima all’interno di Area popolare per la scelta fatta da Alfano di far convergere i voti su Sergio Mattarella per il Colle.
E c’è anche l’insofferenza di Nunzia De Girolamo capogruppo Ncd a Montecitorio. La voce di sue possibili dimissioni corre con insistenza, ma lei non avrebbe ancora deciso. Di certo il cambio di rotta di Ap non le è piaciuto affatto. Al termine della proclamazione da parte del Parlamento in seduta comune, si è fermata a parlare fitto fitto con Antonio De Poli, vicesegretario vicario dell’Udc. E all’esponente centrista l’ex ministro avrebbe detto che ora è necessario aprire un confronto dentro Ncd, ma anche con il governo.
Dunque, nulla sarà più come prima. E questo rende ancora più salda la posizione di Renzi. Sulla strada del premier la “ri-unione” del partito era la vera scommessa. Vinta senza nemmeno un resto. Il che significa che Matteo aveva fatto la conta dei voti già da tempo, consapevole che il pressing su Alfano non sarebbe caduto nel vuoto. Semmai il presidente del Consiglio non sospettava affatto di affondare nel burro con il suo coltello arroventato, come è avvenuto.
Infine il centrodestra che non c’è più. E per davvero stavolta. Azzerato da Renzi e annientato da Berlusconi. La Meloni e Salvini dovranno fare i conti con la storia che ha superato tanto la destra quanto da sinistra, rimettendo tutto al centro. E Sergio Mattarella al Quirinale rappresenta proprio il nuovo baricentro democristiano.