Quello degli impresentabili è un problema tutto politico che non condiziona la candidatura dei 16 inseriti nella black list dell’Antimafia. Dunque i politici indicati possono essere votati ed eletti a prescindere dal giudizio negativo espresso. L’elenco è frutto, infatti, non di una legge ma di un codice etico che la Commissione presieduta da Rosy Bindi ha adottato lo scorso settembre e cui i partiti e le formazioni politiche possono liberamente aderire, dunque “la mancata osservanza delle disposizioni o anche la semplice mancata adesione allo stesso non dà luogo a sanzioni, semmai comporta una valutazione di carattere strettamente etico e politico nei confronti dei partiti e formazioni politiche”. Il solo Movimento 5 Stelle aveva chiesto che le disposizioni del provvedimento si applicassero a tutti, compresi i non aderenti ma i tempi ristretti e qualche polemica hanno portato a una soluzione diversa. La relazione di accompagnamento recita infatti: “La Commissione reputa inoltre necessario che sia successivamente verificata la rispondenza della composizione delle liste elettorali alle prescrizioni del presente codice nell’ambito dei poteri conferiti dalla legge istitutiva”.
Ma se la lista non escluderà dalla corsa gli impresentabili è inevitabile che gli elettori possano essere condizionati da quanto vi si legge, scegliendo di non appoggiare questo o quel candidato coinvolto in un procedimento penale o condannato. Senza contare il risvolto politico visto che a presiedere l’Antimafia è un esponente della minoranza Pd e quindi l’inserimento nella black list di De Luca, la cui “presentabilità” era stata sostenuta da Matteo Renzi, viene vista come una vendetta nei confronti della maggioranza.
L’accusa del premier nei confronti della Bindi è stata durissima: “Mi fa molto male – ha detto chiudendo la campagna elettorale nelle Marche – che si utilizzi la vicenda dell’antimafia per una discussione tutta interna, per regolare dei conti interno al Partito democratico: l’antimafia è un valore per tutti, non può essere usata in modo strumentale. Voglio essere molto chiaro, perché su questo non si scherza: siamo il Pd e sul tema della illegalità e del rispetto della lotta contro la corruzione il Pd non fa sconti al nessuno”. I pretoriani del capo del Governo hanno compattamente attaccato l’ex ministro, accusata di voler danneggiare Renzi che aveva escluso a priori la possibilità di vedere esponenti dem nell’elenco dei cattivi.
A lanciare veleno sulla Bindi sono stati non solo i “renziani” doc (Ernesto Carbone, Andrea Marcucci, Ernesto Magorno, Dario Parrini) ma anche esponenti delle altre correnti che sostengono il premier, come Matteo Orfini, Francesco Verducci, Umberto Del Basso De Caro o Dario Ginefra. Nel vortice di telefonate partite dopo la diffusione dell’elenco Carbone e Magorno, membri dell’Antimafia in quota Renzi, hanno riferito al segretario che l’inserimento di De Luca era avvenuto all’insaputa dei membri della Commissione per mano del suo presidente. Questo elemento e il fatto che la pubblicazione della lista sia stata fatta slittare l’ultimo giorno della campagna elettorale ha indotto Renzi e gli altri esponenti della maggioranza a sospettare il “trappolone” da parte di Bindi. Il Codice in base al quale viene composta la lista, ha sottolineato Stefano Ceccanti, prevede il diritto di replica degli interessati, cosa che evidentemente non è avvenuto. Cosa che fa sospettare i renziani della presunta “malafede” del numero uno dell’Antimafia.
Il premier ha affidato il proprio pensiero ad una nota congiunta di Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani che accusano Bindi di aver utilizzato la vicenda per “una personale lotta politica”. Al fianco della Bindi si sono, invece, schierati gli esponenti della minoranza dem e l’intera Sel. Il che ha generato nel premier il sospetto che con questa mossa la Bindi stia preparando il terreno per una formazione politica alla sinistra del Pd. La risposta dell’interessata non si è fatta attendere. “Ho taciuto per tutto il pomeriggio di fronte al tentativo di delegittimare la Commissione e la mia persona – ha spiegato – Ed ora per il nome di un candidato, la cui condizione era conosciuta da tutti, ci si indigna contro il lavoro di Commissione e presidente. Giudicheranno gli italiani chi usa le istituzioni per fini politici, certamente non sono io”. La guerra è appena iniziata.