Una crisi umanitaria quasi senza precedenti. Un aspetto sul quale le cronache mondiali concordano in modo più o meno unanime. Del resto, che le ripercussioni del conflitto tra Israele e Hamas sarebbero state scontate perlopiù dalla popolazione civile era tutt’altro che imprevedibile. Anche perché, a ben vedere, in ogni conflitto sussiste una componente costante, che accomuna ogni guerra a prescindere dal luogo geografico e dai contendenti che ne prendono parte. Componente che, chiaramente, si riferisce alle condizioni della popolazione civile, coinvolta suo malgrado negli attacchi e in tutto ciò che essi comportano, a breve come a lungo termine. Nella Striscia di Gaza, tale scotto si sta traducendo in una delle emergenze più gravi degli anni recenti, tra esodo forzato, minacce di invasione militare di alcune aree specifiche e, soprattutto, difficoltà estrema nell’approvvigionamento alimentare.
La crisi di Gaza
Ancora una volta, a lanciare l’allarme è Azione contro la Fame: “L’ultimo rapporto Onu sulla sicurezza alimentare a Gaza – ha riportato l’associazione – ha dichiarato che il 50% della popolazione è sull’orlo carestia: 1,1 milioni di persone hanno completamente esaurito le loro scorte di cibo e stanno lottando contro una fame catastrofica e la morte per fame. Si tratta del numero più alto mai registrato dal sistema IPC (Integrated Food Security Phase Classification)”. Una situazione che, con la poca fiducia riposta fin qui nei colloqui negoziali, ha esercitato una pressione sempre maggiore sui cittadini, costretti a fare i conti con un’emergenza, la cui gravità è accresciuta, in modo proporzionale, dalla densità abitativa della Striscia: 4 mila persone per chilometro quadrato, la più alta del mondo.
Malnutrizione tra i minori
Le difficoltà nell’imbastimento di corridoi umanitari per l’accesso del cibo e degli altri beni di prima necessità, spesso ostacolati dalla scarsa efficacia delle trattative per la tregua, ha finito per ridurre in modo drastico gli approvvigionamenti per quella parte di popolazione rimasta intrappolata nella Striscia. In particolare, ha specificato Acf, a rischiare di più è la parte più giovane della società civile, con “un bambino su tre affetto da malnutrizione acuta” e con la “mortalità infantile” in progressivo aumento. In casi come questi, avverte l’associazione, “il dolore è intenso, con squilibri elettrolitici, apatia, affaticamento, deterioramento fisico e psicologico, degrado dei tessuti e danni agli organi vitali”.
Soluzioni estreme
In sostanza, non solo crescono i rischi connessi alla malnutrizione ma anche quelli derivanti dai rimedi estremi che nella Striscia vengono messi in atto per limitare l’agonia. Spesso, infatti, si è costretti “a ricorrere anche al cibo per animali. Abbiamo ricevuto segnalazioni di persone che hanno mangiato foraggio animale, tra cui fieno, paglia e altri mangimi”. Come spiegato da Vincent Stehli, direttore delle Operazioni AcF, raramente a Gaza si è vista una situazione simile: “L’80% dei bambini ha malattie infettive; il 70% ha la diarrea. Non hanno cibo a sufficienza e i servizi sanitari non funzionano: un mix perfetto per la diffusione della malnutrizione. Questo è solo l’inizio”.
L’impegno prosegue
Nonostante questo, l’impegno degli operatori umanitari non si ferma, con operazioni di distribuzione di cibo, pasti caldi e kit igienici, oltre che con la fornitura di assistenza nella gestione delle risorse, sia economiche che alimentari. Aiuto che, tuttavia, avviene in un contesto fortemente condizionato dalla guerra in corso e dall’impossibilità di agire su larga scala. L’appello è all’attuazione della Risoluzione 2712 del Consiglio di Sicurezza Onu, che prevede una pausa umanitaria immediata per l’istituzione di corridoi umanitari: “Serve un cessate il fuoco permanente per permettere l’ingresso di tutti gli aiuti necessari a salvare la vita di oltre due milioni di persone”.