No ai Cie, specialmente se utilizzati come centri di detenzione, accoglienza diffusa in tutti i comuni, un protocollo con il ministero degli Esteri per un corridoio umanitario dall’Etiopia per i profughi di Eritrea e Somalia che sarà firmato giovedì 12 gennaio. E’ questa la linea della Chiesa italiana in tema di immigrazione, illustrata dal segretario generale della Cei mons. Galantino nel corso della conferenza stampa sulla giornata del migrante che si celebra domenica prossima. Ma il numero due della Conferenza episcopale è andato oltre, ribadendo di non aver mai detto che bisogna accogliere tutti, anche chi commette reati (“ma è inutile mandarli nei Cie, possono essere espulsi direttamente dal carcere”) e sottolineando che “ripartire dalla legalità è un atto di intelligenza politica, che non va confuso – anche qui semplificando artatamente? – con la proposta di allargare l’irregolarità e creare insicurezza per i migranti e per il territorio”. Senza mai citarlo, è stato chiaro il riferimento al leader della Lega Salvini, anche quando ha definito “ridicole certe affermazioni. Nemmeno cattive: ridicole. Esternazioni e strumentalizzazioni che non reggono di fronte al lavoro serio fatto da Migrantes (la fondazione della Cei che si occupa del settore, ndr) che ha fornito numeri e dati molto precisi”. Dai quali emerge, per esempio, che la Lombardia, pur avendo il maggior numero di immigrati sul suo territorio (23.046) si colloca in fondo alla classifica delle presenze in relazione agli abitanti, appena 2,3 ogni 1000 (“battuta” solo dalla Val d’Aosta, con 2,2). “Mi dispiace – ha detto mons. Galantino – che questo lavoro non venga tenuto presente, potrebbe essere l’inizio di una proposta concreta”. E ha polemizzato anche con “qualche titolista che di fronte ad articoli ben fatti sforna titoli canaglia. Personalizzare la questione allontana possibili soluzioni e offre l’alibi a chi deve intervenire per girarsi dall’altra parte”.
Il prelato ha indicato cinque sì e due no, oltre a un no condizionato. Sì “a sbloccare e approvare una legge ferma che allarga la cittadinanza ai minori che hanno concluso il primo ciclo scolastico, così da allargare la partecipazione, cuore della democrazia, e favorire processi di inclusione e integrazione”. Il secondo sì è allo sblocco di una legge ferma che tutela i minori non accompagnati, non destinandoli a nuovi orfanatrofi, ma a case famiglia, a famiglie affidatarie, accompagnate da una formazione attenta a minori preadolescenti e adolescenti”. A tale proposito il segretario della Cei ha ricordato “le oltre 500 storie di accoglienza familiare nate nelle nostre parrocchie” e quelle di “due famiglie, una di Trieste e una del Piemonte, che, pur pronte ad accogliere in casa non hanno trovato interlocutori per dar seguito a questa loro offerta di disponibilità”. Il terzo sì riguarda “l’identificazione dei migranti” allo scopo di offrire “un’accoglienza attenta alla diversità delle persone e delle storie, pronta a mettere in campo forme e strumenti rinnovati di tutela e di accompagnamento che risultano una sicurezza per le persone migranti e per la comunità che accoglie”. Galantino ha poi insistito sulla necessità di “un’accoglienza diffusa, in tutti i comuni italiani, dei migranti forzati, in fuga da situazioni drammatiche”, ricordando che due famiglie in fuga su tre “potrebbero fermarsi solo per alcune settimane o mesi”. A questo proposito il vescovo si è chiesto “a chi giova demonizzare con lo stigma della delinquenza e del puro interesse tutte le realtà impegnate nel campo dell’accoglienza? A che serve appiccicare su tanti giovani, uomini e donne che compiono con professionalità questo lavoro la stessa etichetta di alcune famigerate esperienze, per fortuna scoperte e condannate?”. Infine, mons. Galantino si è detto favorevole “a un titolo di soggiorno come protezione umanitaria o come protezione sociale a giovani uomini e donne che da oltre un anno sono nei CAS e nei centri di prima accoglienza e hanno iniziato un percorso di scolarizzazione o si sono resi disponibili a lavori socialmente utili o addirittura già hanno un contratto di lavoro; a coloro che hanno potuto, speriamo presto, fare un’esperienza di servizio civile, ma anche a chi ha una disabilità o un trauma grave, è in fuga da un disastro ambientale o dal terrorismo”.
I no riguardano invece le “forme di chiusura di ogni via legale di ingresso nel nostro Paese che sta generando un popolo di irregolari, che alimenta lo sfruttamento, il lavoro nero, la violenza. E’ contraddittorio – ha evidenziato – chiudere forme e strade per l’ingresso legale e poi approvare leggi per combattere lo sfruttamento lavorativo e il caporalato”. E ancora un no all’ipocrisia di investire “più nella vendita delle armi che in cooperazione allo sviluppo, in accordi internazionali per percorsi di rientro, in corridoi umanitari”. Quello con l’Etiopia per i profughi provenienti da Eritrea e Somalia che sarà firmato giovedì alla Farnesina sarà finanziato anche con l’utilizzo di fondi provenienti dall’8×1000.
Un capitolo a parte riguarda la riapertura dei CIE. Galantino si è detto contrario, in linea con quanto affermato dalle organizzazioni cattoliche Migrante, Caritas, Centro Astalli e da altre “se dovessero continuare ad essere di fatto luoghi di trattenimento e di reclusione che, anche se con pochi numeri di persone, senza tutele fondamentali, rischiano di alimentare fenomeni di radicalizzazione, e dove finiscono oggi, nella maggior parte dei casi, irregolari dopo retate, come le donne prostituite, i migranti più indifesi e meno tutelati”. Il no, tuttavia, è “condizionato” alla luce dell’”assicurazione successiva del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’Interno sulla diversa natura, anche se non ancora precisata, dei CIE” e della “posizione espressa dai Sindaci italiani.
Mons. Galantino ha poi risposto a una domanda di In Terris sull’atteggiamento nei confronti dei migranti economici. “Quando un profugo me lo trovo lì, alla mia porta, il primo compito è accoglierlo, senza stare a vedere perché, per rendergli meno pesante un approdo spesso difficile. Ma poi serve una riflessione: molti dei cosiddetti migranti economici vengono da posti nei quali soprattutto noi occidentali siamo andati a prenderci tutto quello che avevano. Sono stato in Congo e l’unica strada fatta bene non serviva alla gente del posto ma a trasportare le materie prime prelevate verso l’aeroporto. I migranti economici, e aggiungerei anche ecologici, sono persone costrette a lasciare il loro Paese a causa del nostro egoismo. Direi che in questo caso la parola accoglienza dovrebbe essere sostituita da restituzione. Bisogna entrare in questa logica – ha concluso Galantino – che non è buonismo ma giustizia diffusa”.