Ex Ilva, i sindacati dal Governo: “Garantire la decarbonizzazione”

Ilva sindacati

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Giovedì i sindacati torneranno a Palazzo Chigi, per districare il labirinto di liane attorno al caso Ilva. Sul tavolo, un piano industriale entro le normative europee e un progetto di decarbonizzazione che, secondo le sigle sindacali, lo Stato dovrà garantire. Il dossier ritorna in auge dopo il flop delle trattative con ArcelorMittal, che ha ora acceso i riflettori sull’acciaieria di Dunkerque, in Francia.

Ilva, sindacati a Palazzo Chigi

Il governo convoca i sindacati giovedì 18 alle ore 15 per proseguire il confronto avviato da tempo sul futuro dell’acciaio in Italia e sul dossier dell’ex Ilva. Lo si apprende da fonti di Palazzo Chigi.

“Non siamo favorevoli a percorsi di nazionalizzazione permanente” dell’Ex Ilva “però abbiamo detto che nella situazione in cui versa l’impianto serve una fase transitoria” in cui lo Stato “deve garantire gli investimenti per la decarbonizzazione” degli impianti e farsi carico dei “debiti” accumulati. “Bisogna costruire le condizioni per un’operazione che, seppure nel medio e lungo periodo, abbia una sua redditività” e in tal caso “credo che la siderurgia italiana, a partire dal grande produttore di prodotti piani che è Arvedi, possa pensare a un disegno di questo tipo”. Così il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi.

“Non è troppo tardi”

“Non è troppo tardi” per salvare l’ex Ilva ma se le regole europee sulle emissioni inquinanti, frutto di una politica “estremista” e “dissennata”, non cambieranno “è chiaro che si chiude, ma come chiuderanno tutti gli altiforni europei”, ha detto Gozzi intervistato in un webinar di Siderweb. Salvare Acciaierie d’Italia “si può ancora fare ma naturalmente contestualizzando i tentativi di salvataggio e rilancio dell’impianto di Taranto all’interno delle regole europee, che io non condivido, che contesto ma che esistono e che dunque vanno rispettate anche se spero che vengano cambiate”. Gozzi ha puntato il dito sulla “scomparsa delle quote gratuite per gli altiforni europei con un decalage nel 2027, ’28, ’29 che renderà la produzione da ciclo integrale in Europa completamente non economica”.

Rischio nuove dipendenze strategiche

Per compensare i circa 2 milioni di tonnellate di CO2 generate ogni milione di tonnellate di acciaio prodotto a ciclo integrale “a partire dal 29-30 bisognerà pagare 200 milioni di euro”. “Per l’Ilva, che dovrebbe produrre da piano industriale 6 milioni di tonnellate di acciaio “significa 1,2 miliardi di euro all’anno di quote di CO2”. “È chiaro che si chiude ma come chiuderanno tutti gli altiforni europei, l’Europa, non so se coscientemente o incoscientemente, ha adottato una misura che rappresenta un ulteriore grave colpo per l’industria dell’automotive” che dovrà comprare l’acciaio per le carrozzerie “probabilmente dall’Asia, creando una nuova dipendenza strategica”. “Questo – ha concluso Gozzi – è quello che è successo negli ultimi anni per una politica estremista, dissennata che non ha fatto alcun calcolo di convenienza economica e che ha preso il green deal non come un programma come decarbonizzazione razionale e pragmatico ma come un feticcio ideologico”.

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