Dj Fabo si arreso alla malattia e alla morte. Il suicidio assistito di Fabiano Antoniani, questo il suo vero nome, è stato eseguito alle 11.40 nella clinica “Dignitas” di Forck, a pochi chilometri da Zurigo. Ad annunciarlo un tweet di Marco Cappato dell’associazione “Luca Coscioni”: “Fabo è morto alle 11.40. Ha scelto di andarsene rispettando le regole di un Paese che non è il suo”. Parole che sono una vera e propria entrata a gamba tesa nel delicatissimo dibattito sul “fine vita”, in corso nel Parlamento italiano da diversi mesi.
Ultimi istanti
Cappato ha successivamente annunciato di volersi “autodenunciare” al suo rientro in Italia per “aiuto al suicidio”, fattispecie di rilievo penale nel nostro Paese. “Fabo ha morso il pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale – ha raccontato – era molto in ansia perché temeva, non vedendo il pulsante perché cieco, di non riuscirci. Poi però ha anche scherzato”. Agli amici che lo hanno accompagnato in Svizzera, Antoniani ha rivolto un ultimo messaggio: “Non prendetemi per scemo ma devo chiedervi un favore: mettete sempre le cinture. Non potete farmi un favore più grande”
Il messaggio
Fabo era arrivato in Svizzera proprio per essere sottoposto a questo tipo di trattamento. Lo aveva annunciato lui stesso in messaggio:”Sono finalmente arrivato in Svizzera, e ci sono arrivato purtroppo con le mie forze e non con l’aiuto dello Stato. Grazie a Marco Cappato per avermi sollevato da un inferno fatto di dolore”. Con lui c’era lo stesso Cappato, cui i Antoniani ha rivolto un ringraziamento speciale perché “ha potuto risollevarmi da questo inferno di dolore”. “Grazie a te Fabo”, era stata la risposta di Cappato.
La storia
Antoniani aveva 39 anni ed era tetraplegico e cieco dall’estate 2014 in seguito ad un grave incidente stradale. Non è la prima volta che l’Associazione Coscioni interviene, e Antoniani è il sesto di cui si ha notizia. Cappato ha annunciato di aver accettato di aiutare Fabo su Facebook, ricevendo subito centinaia di commenti e condivisioni. Tra i messaggi inviati a Fabo ci sono stati anche quelli di chi lo invitava a un ripensamento. Come dj Aniceto che lo supplicava: “Per favore vivi”, o Nassigh, 19 anni, disabile gravissimo dalla nascita, il quale lo invitava a “non chiedere di morire” perché “noi non possiamo correre ma siamo pensiero, e il pensiero migliora il mondo“.
Le reazioni
La morte di Fabo è stata accolta con cordoglio e dolore dal mondo cattolico. Massimo Gandolfini, presidente del Comitato promotore del Family Day, spiega di aver appreso la notizia “con grande tristezza” e ribadisce il suo “no ad ogni forma di eutanasia, anche quella nascosta sotto il principio dell’autodeterminazione del paziente”. Da medico, aggiunge, “non posso accettare che siano avanzate proposte legislative che riducano il ruolo degli operatori sanitari a meri esecutori di un percorso di morte. La legittima contrarietà ad ogni forma di accanimento, non può comunque portare alla vincolatività delle disposizioni anticipate perché svilisce il ruolo e il dovere deontologico del medico che è sempre di sostegno alla vita e alla salute. Il suicidio assistito è infatti una scelta in contrasto con tutta la storia e l’ontologia della medicina”. Secondo Famiglia Cristiana “la morte di un uomo è sempre una sconfitta. Nel caso di dj Fabo non perché l’Italia non gli ha dato una ragione per morire ma perché nessuno di noi è stato in grado di offrigli una ragione per andare avanti e sfuggire alla disposizione. Da qui, forse, bisogna ripartire: di fronte al dolore, alla sofferenza, al limite, una società davvero civile non dà l’eutanasia ma si sforza di dare un senso alla fragilità”.
Dibattito
Il dibattito sull’eutanasia è stato avviato in Parlamento per la prima volta nel marzo 2013 e attualmente vi sono sei proposte di legge (una di iniziativa popolare presentata proprio dalla Coscioni) che dovrebbero confluire in un unico testo, ma è tutto fermo da un anno. Va invece un po’ più spedito il ddl sul Biotestamento, ma è stato proprio il terzo rinvio all’approdo in Aula alla Camera a determinare l’appello di alcuni giorni fa di DJ Fabo al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per “sbloccare lo Stato di impasse voluto dai parlamentari”. Da parte del Quirinale, però, finora non sono arrivati commenti. Sul punto è intervenuto mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in due interviste rilasciate al Corriere della Sera e a Quotidiano nazionale.”Come possiamo affidare a una legge situazioni così drammatiche? – si è chiesto – A quattro righe la complessità del reale? La legge non può, per sua natura. Il rischio è creare la ‘cultura dello scarto‘ di cui parla il Papa. Nessuno è uno scarto, dobbiamo aiutarci a capirlo. Ciascuno è necessario all’altro”. Mons. Paglia ha invitato a non cedere “alla deriva individualista. C’è bisogno di creare un circolo d’amore che veda protagonisti il malato, i suoi familiari, gli amici e il medico, perché si arrivi a una scelta consapevole e condivisa. Nella società iperindividualista c’è questa idea: tu decidi per conto tuo come ti pare. Con questa logica può accadere tutto, allora ha ragione anche il ragazzo che si butta dalla finestra perché è stato bocciato. Il problema è far capire all’altro che lui, per me, è importante, è parte della mia vita, e la sua morte mi dà un dolore enorme”. Secondo mons. Paglia “ogni volta che si pone termine a una vita, o ci si propone di farlo, è sempre una sconfitta. Una sconfitta amara: sia per chi dice ‘non ce la faccio più’ sia per una società che si rassegna all’impotenza“.