L’Ucraina vince l’Eurovision Song Contest ma forse la vera notizia non è questa. Il televoto che premia la Kalush Orchestra e la sua Stefania, inno ideale a tutte le madri ucraine, è segno della partecipazione attiva (più che mai) dei telespettatori. A seguire la diretta su Rai 1 della finale ce n’erano oltre 6 milioni e mezzo, ossia il 41,9% di share. E la vittoria della band ucraina (che porta premio e gloria al Paese per la terza volta dopo i trionfi del 2004 e del 2016) assume inevitabilmente un significato simbolico. Non tanto per il grido “Slava Ukraini” (“Ucraina libera”) che i ragazzi lanciano dal palco. Sui social c’è il mondo e il mondo commenta. C’è chi parla di favoritismi, senza considerare che proprio dal pubblico televisivo è arrivato buona parte della percentuale che ha consegnato ai Kalush la vittoria. La verità è che il trionfo della band ucraina tiene alta l’attenzione sulla guerra e sulle sue conseguenze. Oltre a rappresentare una sorta di avvisaglia culturale da parte dell’Europa.
La strada della musica
Chi vince l’Eurovision finirà per ospitarlo. E per far sì che in Ucraina possa esserci spazio per la musica e l’enorme massa al seguito della manifestazione (decine di migliaia di persone, forse più, tra cantanti, entourage, maestranze e pubblico), non dovrà esserci più la guerra. E a quanto pare l’Europa non è disposta ad aspettare che la Russia decida che la sua idea di guerra lampo ormai sia andata a scatafascio. L’Ucraina non solo resiste ma guadagna terreno. Denuncia crimini di guerra e mantiene la presa anche sull’opinione pubblica occidentale. Più che favorevole a dare una segnale chiaro premiando la Stefania dei Kalush. Anche il frontman Oleh Psjuk lancia il suo messaggio: “Per favore aiutate l’Ucraina e Mariupol, aiutate Azovstal, ora”. Dichiarazione d’effetto, accolta da un’ovazione (ma ai limiti del regolamento, visto che di messaggi politici all’Eurovision, tuttavia, non dovrebbe essercene traccia).
Eurovision in Ucraina
Ma di regolare non c’è quasi nulla in questo momento storico. Nemmeno le strategie di ripresa, mero lenitivo rispetto alla gravità della situazione economico-politica che ancora attanaglia le famiglie. Strette fra i timori per un futuro ancora incerto e gli echi delle bombe fin troppo vicini. E allora spazio alla cultura, forse la vera chiave di volta in grado di aprire la rudezza degli interessi che animano qualsiasi pretesa avanzata tramite l’argomento bellico. Il premier ucraino, Volodymyr Zelensky, inaugura subito la strada che porterà all’Eurovision 2023 con una promessa: “Faremo di tutto per ospitarlo a Mariuopol”. E ancora: “Il nostro coraggio impressiona il mondo, la nostra musica conquista l’Europa”. Risposta immediata dalla presidente della Commissione europea, Von der Leyen: “Celebriamo la tua vittoria in tutto il mondo. L’Ue è con te”.