Leggi, leggine ed emendamenti. Proposte di modifica di riforme che piovono nelle Commissioni e nelle Aule delle Camere al solo scopo di mettere i bastoni tra le ruote a questa o a quella maggioranza. E’ il gioco della politica che ha imparato a muoversi tra gli strumenti democratici e li usa come un piccone per abbattere il rivale di turno. Nulla di illegale, ovviamente, perché chiedere di cambiare un provvedimento in corso di approvazione, specie quando riguarda argomenti rilevanti, rientra nella rappresentatività spettante a ciascun parlamentare. Se poi in discussione c’è la nuova Costituzione a l’abolizione del Senato la tentazione di far saltare un banco già traballante – visti i quorum e i tempi stabiliti dall’articolo 138 – la tentazione si fa più forte per chi occupa i banchi dell’opposizione o quelli della minoranza di partito. E tuttavia ogni cosa ha un prezzo, non solo in termini strettamente politici ma anche economici. La cosa non va sottovalutata visti i sacrifici che, negli anni, ci sono stati chiesti per far uscire la barca Italia dalle onde della crisi.
Il ddl Boschi, quello sulla riforma della Carta fondamentale, è la partita che Renzi vuole vincere a partire dal prossimo autunno. Il suo cuore è proprio il passaggio a un monocameralismo de facto. In soldoni: Montecitorio sarà composto da membri eletti direttamente dai cittadini, mentre a Palazzo Madama siederanno i rappresentanti delle regioni. E, di conseguenza, la Camera sarà l’unica a poter fare le leggi mentre al Senato spetteranno più che altro poteri di controllo e di manifestazione delle istanze territoriali. Una rivoluzione ben superiore alle precedenti riforme, come quelle sul titolo V, approvate a cavallo tra il 1999 e il 2000. Una modifica di assetto che a molti, legittimamente, non piace ma su cui il governo si gioca tutto, credibilità compresa. Così, a partire dalla scorsa settimana, è arrivata una vera e propria grandinata di emendamenti. Ne sono stati presentati oltre mezzo milione solo da Roberto Calderoli della Lega Nord, con la minaccia di arrivare addirittura a un milione. Una montagna di carta che avrà un costo e nemmeno basso. Secondo i dati che circolano nella Camera Alta queste proposte di modifiche sono state raccolte in 100 tomi, ciascuno di 1.000 pagine. Per un totale complessivo di 100.000 pagine. Il prezzo di una copia (ognuna composta da 100 tomi) è valutata in circa 2.900 euro. Se se ne stampassero 321, una per ogni senatore, il costo complessivo dell’operazione sarebbe di 930.900 euro, cioè quasi un milione di euro.
Senza dimenticare le risorse umane che dovranno essere impiegate per fare le fotocopie e formare i plichi. Secondo quanto riferito dall’Ansa circa 150 dipendenti di Palazzo Madama hanno dovuto rinunciare alle ferie e saranno costretti a lavorare anche di sabato per chiudere la pratica in tempo per la ripresa dei lavori parlamentari a fine mese. Il presidente Pietro Grasso ha espresso “grande apprezzamento per la dedizione al lavoro dimostrata dai dipendenti di Palazzo Madama che hanno accettato di buon grado di modificare il loro piano ferie per consentire alla politica di avere tutto pronto a settembre per l’esame della riforma”. Loro, forse, avrebbero preferito starsene in vacanza. C’è poi un problema che in pochi hanno evidenziato: il peso della carta. Il quale, secondo i primi calcoli effettuati, considerando che ogni tomo di 1.000 pagine pesa in media 2,5 Kg, ammonterebbe, con 100 volumi, a 250 chili. Quindi ogni senatore che non si accontentasse di studiare le proposte di modifica online dovrebbe trasportare 2 quintali e mezzo di carta (sic!). Il peso totale delle copie, una per ciascuno dei 321 senatori, sforerebbe quindi il tetto delle 80 tonnellate con grave rischio anche per la tenuta dei solai dell’antico Palazzo Madama. Insomma: vabene che la democrazia ha un costo, ma questo ci sembra davvero troppo.