La corsa per number 10 Downing Street è partita ufficialmente. Chiusa le campagna elettorale con i comizi di routine nel Regno Unito la parola passa agli elettori. Nonostante la crisi politica e di consensi che li ha investiti – ma lo stesso è avvenuto ai partiti tradizionali di tutta Europa – a contendersi la maggioranza dei seggi a Westminster Abbey saranno ancora una volta conservatori e laburisti. Gli ultimi sondaggi non consentono di sbilanciarsi sulla vittoria finale, visto che tra i due leader, l’attuale premier tory David Cameron e lo sfidante labour Ed Miliband, continua a regnare l’equilibrio. Di sicuro c’è solo che nessuno dei due fa impazzire i cittadini britannici per la “poca personalità” dimostrata sinora, nel governare il Paese (Cameron) o nel portare avanti la propria candidatura (Miliband). Alla finestra ci sono gli outsider: dagli euroscettici di Farage ai liberaldemocratici di Nick Clegg, passando per le tre iron lady, Nicola Sturgeon degli indipendentisti scozzesi, Leanne Wood degli autonomisti gallesi e la verde Natalie Bennet. A quest’ultima spetta la palma del programma più trasgressivo; dichiaratamente anti-monarchica la 49enne australiana di nascita ma di cittadinanza brit vorrebbe sfrattare Elisabetta II e l’intera famiglia reale da Bukingham Palace, conferire al sovrano un mero ruolo cerimoniale e trasformare anche la Camera dei Lord in un’assise elettiva.
Difficilmente avrà fortuna considerata la passione degli inglesi per Sua Maestà e per quel chiacchiericcio di corte che fa vendere ai tabloid migliaia di copie ogni giorno. Unico a poter racimolare un discreto numero di seggi tra gli sfidanti minori è Farage: il suo Ukip è stato il vero fenomeno delle ultime elezioni Europee e, pur avendo perso la battaglia per l’indipendenza della Scozia, raccoglierà ancora una volta il consenso dell’elettorato populista. Choccanti le ultime dichiarazioni sugli stranieri, rei, secondo il politico nazionalista, di aver contribuito a peggiorare il traffico automobilistico nel Regno Unito. Nel suo programma rientra, fra l’altro, la proposta di non offrire assistenza medica ai malati che dall’estero arrivano in Gran Bretagna. La sfida, dunque, è tutta tra Cameron e Miliband.
L’attuale premier ha dimostrato negli ultimi cinque anni di poter traghettare il Paese fuori dalla recessione economica e per questo ha conquistato punti di popolarità. Ma è stato anche duramente criticato per l’austerità imposta al Paese, definita da alcuni ”lacrime e sangue”, che ha ridotto il welfare e causato malcontento tra le fasce più basse della popolazione. Ha più volte detto di ispirarsi a Margaret Thatcher, anche riproponendo in chiave attuale alcune riforme introdotte dalla “Lady di Ferro’. Ma non ha mai appassionato le folle. Il suo sogno è quello di trasformare il Tory Party nel partito dei lavoratori. Chiacchiere secondo i laburisti, per il quale Cameron resta il figlio di papà istruito a Cambridge e Eton. Dall’altra parte della barricata c’è Miliband, o “Ed il rosso” per le sue pericolose (secondo Tony Blair e la sua corrente) tendenze a sinistra. Diventato leader dopo aver sconfitto – lui, erede di Gordon Bronwn – nelle elezioni interne al partito il fratello David, ex ministro degli Esteri di scuola blairiana, deve mostrare di avere quella capacità di leadership e quegli “attributi” che secondo molti osservatori non possiede ancora. I suoi spot elettorali richiamano una “società più giusta” per tutti, criticano aspramente l’austerity e i tagli al welfare di Cameron e promuovono un’economia meno piegata a banche e multinazionali. Tra i cambiamenti che ha introdotto nel partito spicca però un approccio più rigido sull’immigrazione, non più considerato come tabù.
I britannici sono, quindi, chiamati a scegliere tra due low profile con tante e idee e poco mordente per realizzarle. In 45 milioni si recheranno oggi alle urne dalle 7 alle 22 ora locale per scegliere i 650 membri della Camera dei Comuni. Si vota con un sistema maggioritario uninominale, detto “first-past-the-post”. Il territorio è diviso in 650 circoscrizioni elettorali, ognuna delle quali sceglie il proprio deputato da mandare alla Camera dei Comuni. Questo significa che ogni partito deve ottenere 326 seggi per avere la maggioranza assoluta in Parlamento. Le circoscrizioni elettorali sono così suddivise: 523 in Inghilterra, 59 in Scozia, 40 in Galles e 18 in Irlanda del Nord. Il continuo testa a testa fra Tories e Labour nei sondaggi rischia di portare all'”hung parliament”, cioè al “Parlamento appeso”, obbligando lo schieramento numericamente più forte a cercare l’alleanza con gli avversari per formare una maggioranza di coalizione. Finora in campagna elettorale i partiti hanno negato ogni possibilità di larghe intese ma questo non esclude che, con l’esito delle elezioni in tasca, i leader politici possano rivedere le proprie posizioni. Il Partito nazionale scozzese (Snp), guidato da Nicola Sturgeon, ha più volte prospettato l’ipotesi di una coalizione con i laburisti, ma giovedì nel corso di una gara tv su Bbc Miliband ha respinto questa possibilità, dicendo che piuttosto non andrà al governo. Nel caso in cui l’Snpr ottenesse un’influenza sull’esecutivo si creerebbe una situazione difficile, in cui contribuirebbe al governo di uno Stato dal quale aspira a separarsi.