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DALLA TERZA ETA’ ALLA TERZA REPUBBLICA

Il grande spettacolo ha inizio: oggi alle 15 il Parlamento si riunirà in seduta comune per dare il la all’elezione del nuovo capo dello Stato. Si tratta di un momento solenne per la nazione, chiamata a scegliere, tramite i propri rappresentanti, la massima carica repubblicana. La ratio sottesa alle disposizioni che ne regolano l’iter si ispira ai principi di unità e massima condivisione della nomina. Questo aspetto è particolarmente significativo ed emerge soprattutto negli articoli che stabiliscono la composizione del collegio: non solo deputati e senatori ma anche tre delegati per ogni consiglio regionale, ad eccezione di quello della Valle d’Aosta che ne ha uno solo. Il fine di quest’ultima norma è evidente: il Presidente deve rappresentare non solo il potere centrale ma anche quello territoriale. Per avere la più ampia convergenza possibile su un nome per i primi tre scrutini sono richiesti i due terzi dei consensi. Se questi dovessero andare a vuoto sarà considerato eletto colui (o colei) che conquisterà la maggioranza assoluta, vale a dire la metà più uno degli aventi diritto. Il tutto, come si vede, è giocato su un perfetto equilibrio e mira al raggiungimento della piena armonia, secondo i desiderata dei padri costituenti. La storia ha tuttavia mostrato tutt’altro, nella maggioranza dei casi la corsa al Colle si è risolta in una partita tutta politica e di Palazzo, finalizzata a garantire la permanenza o il crollo di questa o quella maggioranza. Raramente si sono saputi comprendere i tempi, basti guardare il dato anagrafico di chi è stato chiamato, dal 48 in poi, ad occupare le lussuose stanze del Quirinale.

Settantatre, è l’età media dei 12 presidenti della Repubblica nel momento in cui vi hanno messo piede, dal più giovane (Francesco Cossiga, 57 anni) al più anziano (Sandro Pertini, 82). Sintomo evidente di un Paese che si è guardato dietro prima di pensare al futuro, affidando a persone di altre epoche il compito di assumere decisioni vitali. Niente da dire sulla terza età e forse, per lo meno nell’ultimo ventennio, questa scelta è stata causata dalla povertà di preparazione e competenza mostrata dalla gran parte della classe politica. Ma di fronte a uno scenario internazionale che tende sempre più a svecchiare il panorama istituzionale qualcosa di diverso si sarebbe potuto fare.

Si dirà: va bene ma quella del capo dello Stato è una figura simbolica. E’ la più classica delle mezze bugie; la Costituzione gli affida un ruolo di equilibrio e ne fissa pedissequamente funzioni e limiti. Ma l’ampiezza di questi compiti dipende sempre dalla persona cui vengono conferiti. Basti pensare a Napolitano che, complici le contingenze storico-economiche e l’inadeguatezza dei partiti attuali, ha sempre interpretato in modo estensivo i propri poteri, portando alcuni analisti di parte avversa a parlare di un presidenzialismo de facto e a coniare il nomignolo di “Re Giorgio”. Il tutto, però, nel pieno rispetto della nostra legge fondamentale. Per questo, oggi più che mai, servirebbe un Presidente al passo coi tempi. In grado, in primo luogo, di garantire il completamento di quel processo riformista che l’Europa ci chiede. E poi di comprendere a pieno i mutamenti sociali, specie quelli che avvengono tra i giovani.

C’è una fascia della popolazione che in passato ha ottenuto diritti e privilegi e ce ne è un’altra che sgomita per emergere. Mai come oggi si affrontano padri e figli, fratelli maggiori e minori, per mantenere lo status quo (da un lato) e per averne uno nuovo (dall’altro). E allora il dato anagrafico torna a essere importante. Ci si chiede se politici di lungo corso come Amato (76 anni), Prodi (75) o Mattarella (73), giusto per fare tre dei nomi più papabili per il Colle, siano in grado di comprendere appieno questo aspetto. In tale ottica preoccupano le promesse di un’elezione celere, già decisa nelle consultazioni di questi giorni, fatte dal premier Matteo Renzi. Vero è che il gap istituzionale va colmato il prima possibile.

Ma il rischio concreto, quando ci sono in ballo i partiti, è che la nomina dell’inquilino del Quirinale si trasformi in un mero compromesso, seguendo il criterio del “non scontenta nessuno” rispetto a quello della scelta migliore. Così è stato nella maggior parte dei casi, salvo poche, rare eccezioni.  Ma così non può essere oggi, se veramente si vuole inserire la parola “rinnovamento” nei dizionari di Palazzo. Inutile girarci intorno: la Terza Repubblica – che si appresta a nascere con l’imprimatur di una nuova Carta costituzionale – deve imboccare subito la direzione giusta, con un capo dello Stato forte, legittimato da un ampio ma non meccanico consenso e con idee giovani. O sarà l’ennesima occasione persa.

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