“Si chiude un ciclo alla guida del Pd. Ho preso un Pd che aveva il 25 per cento e nell’unica consultazione politica lo abbiamo portato al 40,8“. Con queste parole Matteo Renzi, di fatto, ha chiuso la sua prima esperienza alla guida del Partito democratico e ha accettato l’invito “a fare il congresso prima delle elezioni”. Durante la direzione nazionale l’ex premier non ha pronunciato mai la parola “dimissioni” ma l’aria che si respira, è quella di un addio alla segreteria volta ad anticipare quanto prima la data del congresso.
Stop ai ricatti
La resa dei conti con la minoranza dalemiana è dunque rinviata all’assise di partito. Ai nemici interni Renzi ha rivolto parole infuocate, accusandoli di averlo ricattato sulla data del voto: “Non voglio scissioni. Ma se deve essere sia una scissione sulle idee, senza alibi, e non sul calendario. Ho un’idea alta del congresso e ancor di più della scissione. E’ un momento drammatico che mette in subbuglio i sentimenti. Discutiamo le linee politiche e poi ci dividiamo. Mai avrei pensato a una discussione sul calendario: o si fa il congresso prima delle elezioni o è scissione. E’ una specie di ricatto morale e sono allergico ai ricatti”. Anche perché, ha ricordato, sulle elezioni non è lui a decidere: “Il voto e il congresso sono due concetti divisi e aggiungo che non sono più premier, non sono mai stato il ministro dell’Interno né sono il presidente della Repubblica. Quando si vota non lo decido io, questa visione ‘giucascaselliana’, quando lo dico io, va rimossa. Ci sono elementi positivi per votare prima e anche per votare dopo, è una discussione che fa chi ha responsabilità istituzionali. Ma sia chiaro a tutti che il congresso non si fa per decidere il giorno del voto”. Rivolgendosi nuovamente alla minoranza ha detto: “Mi dispiace se costituisco il vostro incubo, ma voi non sarete mai il nostro avversario, i nostri avversari sono fuori da questa stanza. Non possiamo più prendere in giro la nostra gente“.
Regole del 2013
Il congresso, ha spiegato, si svolgerà “con le regole dell’ultima volta (quelle del 2013 ndr) nel rispetto dello Statuto: si discuta di politica, non di regole”. L’importante è che “chi perde il congresso il giorno dopo dia una mano, non scappi con il pallone, non lasci da solo chi vince le primarie, non faccia quanto avvenuto a Roma“.
L’ex premier ha spiegato che, dopo il referendum del 4 dicembre, “la politica italiana ha messo le lancette indietro, è tornata a metodi che avevamo dimenticato. Nel Pd sono tornati i caminetti e la domanda principale è diventata non il Paese ma quanto dura la legislatura. Quando si fa il congresso. La discussione interna è incardinata sulle polemiche e le accuse reciproche, con litigi e accuse non sulle proposte. Questo in casa nostra e non solo”. Da due mesi, insomma, “la politica italiana è bloccata. Improvvisamente è scomparso il futuro da ogni narrazione. L’Italia si è rannicchiata nella quotidianità”.
Il quadro internazionale
Eppure il mondo, ha sottolineato, impone scelte importanti. Per questo Renzi ha dedicato l’apertura del suo intervento al quadro internazionale. Dalla vittoria di Trump nelle elezioni americane alle prossime presidenziali francesi che ha definito un appuntamento “decisivo“. E poi c’è l’Europa. “Io non voglio violare le regole europee – ha evidenziato – voglio discuterle e se possibile cambiarle. Non è facile ma è un dovere morale per chi ha fatto una battaglia contro la politica dell’austerity e il pareggio di bilancio”.