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Covid-19, Politecnico di Milano: la tracciabilità non è risolutiva

Secondo Chiara Sgarbossa, Direttore dell'Osservatorio Innovazione Digitale non si può guardare all'esperienza cinese. Qui abbiamo la normativa sulla privacy

Nelle ultime settimane si parla molto della tracciabilità come sistema per controllare il movimento dei cittadini al fine di limitare il diffondersi del Coronavirus. Sull’esempio cinese anche la Regione Lombardia ha cercato di analizzare il movimento dei cellulari tramite le compagnie di telefonia. Ma attenzione, perchè il sistema di privacy adottato dai paesi dell’Unione Europea fa svanire la volontà di creare un’app nazionale per tracciare i cittadini. Ha spiegarlo è Chiara Sgarbossa, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano.

L’app non risolutiva

“L’app per il tracciamento del contagio non sarà risolutiva perché molti pazienti già contagiati sono anziani e non hanno uno smartphone per scaricarla, mentre in molti non sanno neanche di essere positivi perché asintomatici. Affinché il sistema possa funzionare bisognerebbe mettere i cittadini in condizione di sapere con certezza se si è stati contagiati”, è il parere di Chiara Sgarbossa, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, riguardo ad un sistema di tracciamento italiano a cui sta lavorando una task force tecnologica nominata dal governo. L’Osservatorio in queste settimane sta lavorando ad un censimento della sanità digitale italiana durante l’epidemia i cui risultati saranno resi noti a fine maggio.

L’esempio dei paesi dell’est

“Per capire l’utilità di una operazione del genere – aggiunge – bisogna andare a guardare l’esempio di altri paesi che l’hanno adottata prima di noi come la Cina, la Corea del Sud o Singapore dove c’è un sistema di controllo diverso. In Italia, a meno che non si forzi la normativa europea sulla privacy, l’app deve essere scaricata volontariamente, bisogna convincere un numero sufficiente di persone a farlo e ad inserire correttamente i dati, poiché senza nessun controllo si possono anche creare situazioni finte. E si dovrebbero capire anche le applicazioni future oltre alla necessità del momento”.

L’esperienza lombarda

“Anche l’esperienza della Lombardia con l’app ‘AllertaLom‘ – sottolinea Sgarbossa – è una primissima mappa ma non esaustiva e affidabile, non tutti la scaricheranno e non tutti la compileranno. Se gli abitanti della Lombardia sono 10 milioni e la scaricano in 500mila, siamo al 5% della popolazione. E’ tutto lasciato alla volontà civile e sociale del cittadino di auto-dichiararsi”.

La questione poggia quindi sulla normativa di privacy europea ma anche sulla sensibilità dei cittadini verso un’app delle istituzione che ha come unico scopo quella di controllarli a fini sanitari. E’ vero che quotidianamente attraverso i social e le pagine internet si dà il proprio assenso ad utilizzare dati sensibili, ma il fatto che questo proposito venga dallo stato intimorisce le persone.

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