I dati sulla diffusione del Coronavirus continuano a preoccupare l’Italia. Un’Italia che sta comunque reagendo con dimostrazioni di coesione e solidarietà. Ma desta qualche timore la percentuale di medici (13%) positivi al coronavirus, in buona parte medici di base che “dovrebbero visitare con mascherine adatte, guanti e anche occhiali” come sottolinea ad Interris.it il dottor Stefano Ojetti, medico chirurgo e Vice Presidente Vicepresidente Nazionale Amci.
E’ vero che in Italia i contagi reali sarebbero un milione?
“Queste sono stime in proiezione, credo. In base al numero di contagiati effettivi, si sa che bisogna considerare una percentuale dell’80% di asintomatici. Ma non è un dato preciso che rispecchia la realtà”.
Perché cresce il numero dei medici e degli infermieri al coronavirus?
“Sono più di 80 i medici contagiati a Roma, in generale circa il 13%. Sicuramente non sono sufficienti le misure di sicurezza adottate. Soprattutto per quanto riguarda i medici di famiglia. Perché, mentre in ospedale e quindi nelle corsie non si può andare a cuor leggere, nelle case il medico di base visita magari senza avere una mascherina idonea. E poi va aggiunto che se in un ospedale si sa con certezza che un determinato paziente è positivo al Covid-19, quando si va in una casa a visitare una persona non si può sapere se questa è contagiata. Per questa serie di motivi capita che si prendano precauzioni minori”.
Quali accortezze dovrebbero prendere i medici di base?
“Ci sarebbe necessità di una mascherina idonea, di usare sempre dei guanti come anche degli occhiali. Perché la via di ingresso del Coronavirus può avvenire anche attraverso gli occhi. Basta uno starnuto e se si è senza protezioni per gli occhi può arrivare qualcosa. E’ chiaro che chi porta gli occhiali da vista è più fortunato”.
Le percentuali di medici di famiglia positivi aumenteranno nelle prossime settimane?
“Sicuramente, se non si danno dei presidi idonei e se i medici stessi non prendono delle precauzioni che risultano essere necessarie il dato non può che aumentare”.
A Bergamo tre trentenni sono positivi. Esiste quindi un pericolo concreto anche per i giovani oltre che per gli anziani?
“E’ una malattia nuova quindi ancora non ne conosciamo i possibili sviluppi. E’ evidente, però, che molti giovani siano ormai contagiati. Questo fa capire in primis che i giovani non sono immuni. Ma più importante è capire come, in un secondo momento, evolve la sintomatologia soprattutto perché nell’80% dei casi la sintomatologia è assente o lieve. Perciò se l’infetto comincia ad avere problemi respiratori ed avrà quindi bisogno dell’ossigeno terapia, la situazione cambia. Bisogna ora vedere di questi infetti, mi sembra nel numero di 600, la sintomatologia e l’esito della stessa. Perché su 600, 30 hanno il decesso: le cose cambiano. Ma fino ad adesso nulla di questo si è registrato. Il problema è la prevenzione. Bisogna circoscrivere il fenomeno il più possibile.
Tra qualche settimana si potrebbero registrare casi gravi anche in bambini?
“Al momento non sembrerebbe. Dall’esperienza cinese si evince che la mortalità al di sotto dei 18 anni è minore dello 0,05%. Questo quindi non dovrebbe avvenire e la percentuale fa ben sperare”.