Finora si è parlato del Brasile. E dell’oscillazione delle politiche del presidente Jair Bolsonaro, prima scettico sull’emergenza coronavirus, poi consapevole della sfida epocale che l’umanità si è vista porre davanti sé. In Sud America, però, il coronavirus non sembra voler fare sconti: dal Venezuela al Cile, dall’Ecuador alla Colombia, il percorso del virus traccia linee immaginarie, che abbracciano idealmente tanti Paesi del continente in una spira letale, che in alcuni contesti sta assumendo proporzioni decisamente tragiche. In Brasile il timore della popolazione ha superato, in termini di prudenza, le disposizioni adottate fin qui dal governo. Anzi, addirittura i governatori regionali hanno scavato un solco con Planalto, consigliando vivamente il lockdown ai propri cittadini, contravvenendo a una visione presidenziale fin troppo ottimista (almeno fin lì) sulla diffusione del coronavirus. Ora Brasilia, come tutte le altre sedi di governo, i conti con un bilancio che lascia poco all’immaginazione deve farli per forza.
La stagione delle rivolte
Ma c’è un contrasto di fondo in Sud America, che rende la marcia del Covid-19 forse ancora più pericolosa. Un concetto valido anche per l’Africa e per tutte quelle aree del mondo in cui il lockdown significherebbe perdita immediata di reddito e, quindi, di possibilità di sostentamento. Una tragedia nella tragedia, che impone a tanti (tantissimi) degli appartenenti alle fasce più deboli della popolazione, di dover continuare a sfidare l’ombra spettrale del contagio. Fin troppo evidente, infatti, la frattura tra coloro che, sul modello europeo, di restare a casa può permetterselo e chi, se privato del proprio lavoro informale, non resisterebbe che qualche giorno. Non tanto per la malattia, quanto per l’impossibilità di procurarsi il sostentamento, men che meno le cure mediche. A questo, si aggiunge un’epidemia che punta alle terre a sud del Mar dei Sargassi all’indomani di un’ondata di proteste e sconvolgimenti sociali che ha assestato duri colpi agli assetti governativi locali. In Cile in primis, ma anche in Ecuador e in Bolivia, per non parlare del Venezuela in cui, al netto di una fase di apparente stagnamento della protesta, le condizioni sociali restano estreme.
Tragedia in Ecuador
Riverberi sociali che nell’emergenza non fanno che amplificarsi. Come l’Africa, che rischierebbe un tracollo dei sistemi sanitari qualora il Covid decidesse di calare il colpo di scure come ha fatto in Cina, Europa e Stati Uniti, il Sud America si trova di fronte a una possibile crisi sanitaria che colpirebbe al cuore Paesi già stravolti da mesi di agitazione e dilaniati, in molti casi, dalle disuguaglianze sociali. E se, finora, erano stati Brasile e Cile ad aprire le fila del caos, ora è l’Ecuador che inizia a pagare il prezzo più elevato, non solo in termini di contagi ma di vera e propria tragedia comune. Nelle ultime ore, infatti, oltre a schizzare quasi a quota tremila, il conteggio dei malati da coronavirus ha contribuito ad alzare anche quello dei decessi (al momento 93) e, in un Paese in gravissima difficoltà e quasi impossibilitato a far fronte a gravi emergenze sanitarie, le prime scene scioccanti di disgregazione del tessuto sociale, con numerosi cadaveri prima deposti e poi avvolti in sacchi neri ai bordi delle strade. In alcuni casi, addirittura, sarebbero stati bruciati. Un’immagine specchio delle difficoltà del Paese, che vede nell’impossibilità materiale di seppellire i propri morti uno dei suoi aspetti più drammatici. In Ecuador, come in Cile, vige al momento il coprifuoco. Una misura estremamente rigida, con 15 ore di divieto assoluto di uscire di casa. Un provvedimento che rischia, paradossalmente, di gettare sale sulla ferita.