Ascesa fulminea
Una vicenda particolare quella di Boris Johnson, brexiteer della prima ora, sostenitore del no deal (o comunque di un accordo non troppo pacifico con l’Unione europea) e Tory secessionista all’epoca della tripla bocciatura del piano May. Poi leader conservatore in grado di perdere la maggioranza a Westminster (e quasi la leadership di partito) per poi riprendersela con gli interessi, nell’arco di un solo mese, sbaragliando la concorrenza e costringendo i rivali laburisti a ripartire da zero, accantonando cinque anni di altalenante guida di Jeremy Corbyn.
Un fulmine politico Johnson, che si era preso il Regno Unito nel momento peggiore promettendo finalmente ai britannici di vedere la luce in fondo all’ormai asfissiante tunnel della Brexit: “Speriamo tutti che possa essere rimesso in salute il più rapidamente possibile – ha detto ancora Gove – e questo è tutto ciò a cui stiamo pensando in questo momento… Johnson è in buone condizioni e pieno di vita”.
Posizioni controverse
Del resto, però, il suo approccio al caso coronavirus aveva fatto discutere anche gli stessi cittadini britannici. Inizialmente una posizione fin troppo leggera, con il lockdown disposto solo per gli anziani e nessuna intenzione di frenare l’attività produttiva del Paese come fatto dall’Italia e dalla Spagna, attirandosi qualche critica anche per alcune frasi giudicate decisamente poco adatte sia alla circostanza che al leader politico di un Paese, invitando ad esempio i britannici “ad abituarsi a perdere i propri cari”.
L’idea di fondo sul Covid-19 l’avrebbe cambiata presto, quando il contagio aveva iniziato a prendere piede anche Oltremanica, insinuandosi perfino nel suo ufficio a Downing Street. Ribadendo, per l’ennesima volta, di non fare distinzioni di sorta. Ora il Paese è sotto la guida provvisoria di Dominic Raab. Una sostituzione ma non in tutto e per tutto, dal momento che il ministro degli Esteri non può prendere nessuna decisione. La speranza che, al di là di ogni convinzione politica, si tratti solo di una soluzione temporanea e che il premier, entro breve, possa tornare al ruolo al quale i cittadini lo hanno chiamato.
Ascesa fulminea
Una vicenda particolare quella di Boris Johnson, brexiteer della prima ora, sostenitore del no deal (o comunque di un accordo non troppo pacifico con l’Unione europea) e Tory secessionista all’epoca della tripla bocciatura del piano May. Poi leader conservatore in grado di perdere la maggioranza a Westminster (e quasi la leadership di partito) per poi riprendersela con gli interessi, nell’arco di un solo mese, sbaragliando la concorrenza e costringendo i rivali laburisti a ripartire da zero, accantonando cinque anni di altalenante guida di Jeremy Corbyn.
Un fulmine politico Johnson, che si era preso il Regno Unito nel momento peggiore promettendo finalmente ai britannici di vedere la luce in fondo all’ormai asfissiante tunnel della Brexit: “Speriamo tutti che possa essere rimesso in salute il più rapidamente possibile – ha detto ancora Gove – e questo è tutto ciò a cui stiamo pensando in questo momento… Johnson è in buone condizioni e pieno di vita”.
Posizioni controverse
Del resto, però, il suo approccio al caso coronavirus aveva fatto discutere anche gli stessi cittadini britannici. Inizialmente una posizione fin troppo leggera, con il lockdown disposto solo per gli anziani e nessuna intenzione di frenare l’attività produttiva del Paese come fatto dall’Italia e dalla Spagna, attirandosi qualche critica anche per alcune frasi giudicate decisamente poco adatte sia alla circostanza che al leader politico di un Paese, invitando ad esempio i britannici “ad abituarsi a perdere i propri cari”.
L’idea di fondo sul Covid-19 l’avrebbe cambiata presto, quando il contagio aveva iniziato a prendere piede anche Oltremanica, insinuandosi perfino nel suo ufficio a Downing Street. Ribadendo, per l’ennesima volta, di non fare distinzioni di sorta. Ora il Paese è sotto la guida provvisoria di Dominic Raab. Una sostituzione ma non in tutto e per tutto, dal momento che il ministro degli Esteri non può prendere nessuna decisione. La speranza che, al di là di ogni convinzione politica, si tratti solo di una soluzione temporanea e che il premier, entro breve, possa tornare al ruolo al quale i cittadini lo hanno chiamato.