Chiede normalità Jair Bolsonaro, la chiede al popolo brasiliano in uno dei momenti più difficili per la popolazione globale. La diffusione del coronavirus non ha risparmiato nemmeno il suo Brasile, alimentando anche lì i sentimenti di paura e incertezza che stanno accomunando anche il resto del mondo. Eppure, nonostante il filo della tensione sia ben tirato, per il presidente c’è bisogno di tornare a muovere la macchina produttiva. In un contesto dove, peraltro, le misure restrittive sono praticamente tutte auto-imposte, da parte di aziende e semplici cittadini. L’obiettivo è tutelarsi al fine di scongiurare scene come quelle viste in Cina o in Europa, in un momento in cui i contagi arrivano a 2.500 e i decessi a 57. Numeri ancora contenuti ma di certo non sufficienti a esorcizzare la paura del Brasile, nemmeno se a dirlo è il presidente, che parla di “un’influenzetta”.
Ottimismo presidenziale
La linea del leader di Planalto è sempre stata la stessa finora: timori economici più forti di quelli sanitari. Per questo Bolsonaro finora non ha chiuso nulla, chiedendo a tutti di proseguire regolarmente le proprie attività convinto che quella in corso sia un’emergenza che si limiterà a sfiorare il suo Paese. Per motivi che, a ogni modo, il presidente non discute in conferenza nemmeno con il ministro della Salute: clima tropicale, giovane età (decisamente più bassa rispetto a quella italiana, come evidenzia Bolsonaro), isolamento dei soli anziani. Misura durata poco persino nel Regno Unito, dove anche il premier Johnson si è convinto a mettere da parte gli ottimismi e a porre in lockdown il Paese. E, soprattutto, dimostratasi sostanzialmente inefficace. Una scelta drastica che sta accomunando però parecchie potenze mondiali.
Paese spaccato
A questo punto, il Brasile rischia di correre sul pericoloso fronte di una doppia crisi. Posto che il Ministero della Salute continua a seguire le direttive dell’Organizzazione mondiale della Sanità, mentre il presidente invoca l’arbitrario buonsenso di non ritenere il coronavirus così pericoloso nel Paese (nonostante i rischi di una propagazione potenzialmente catastrofica in contesti come le favelas), la linea di frattura appare fin troppo evidente. Più o meno come lo era stata nei giorni dei roghi in Amazzonia. Del resto, la risposta del popolo brasiliano sembra andare (nemmeno troppo velatamente) più in direzione degli appelli dei medici che degli inviti presidenziali. E allora, spiagge e strade quasi fantasma e sempre più malumori contro Bolsonaro. Da parte dei governatori che hanno deciso di chiudere tutto, ma anche dei brasiliani che del virus hanno paura.