Dura reazione della comunità internazionale dopo la regolarizzazione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania da parte della Knesset. L’inviato Onu in Medio Oriente, Nicolay Mladenov, ha affermato che Tel Aviv ha passato “una grossa linea rossa” in direzione “dell’annessione dei Territori Occupati”.
L’Onu
Il Palazzo di Vetro ha parlato di “violazione del diritto internazionale” che avrà “conseguenze legali di vasta portata per Israele”. Il segretario generale Antonio Guterres, ha spiegato un portavoce, “insiste sulla necessità di evitare qualsiasi azione che possa far deragliare la soluzione dei Due stati”, mentre occorre perseguire trattative dirette tra le parti.
Il mondo arabo
Da Ramallah una furibonda leadership palestinese ha parlato apertamente di “furto di terra” attraverso un provvedimento “inaccettabile”, contrario alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2334. Seguita subito dalla Lega Araba, il cui segretario generale Ahmed Abul Gheit ha detto che la legge riflette le reali intenzioni del governo israeliano e la sua posizione ostile verso la pace. Poi ha aggiunto che il provvedimento è una scusa per prendersi le proprietà private palestinesi.
La legge
Approvata con 60 voti contro 52 e senza il voto del premier Benjamin Netanyahu – in volo in quel momento tra la Gran Bretagna e Israele – la nuova normativa (che secondo alcune stime offre una sanatoria per circa 4000 case in Cisgiordania), deve essere controfirmata ora dal presidente Reuven Rivlin. Solo dopo, le ong israeliane contrarie alla legge, come Bet’selem, Peace Now e Yesh Din potranno andare all’attacco presentando i ricorsi alla Corte Suprema. L’assise presieduta da Avichai Mandelblit (notoriamente un avversario del provvedimento) è diventata in queste ore una sorta di ultima spiaggia per tutti quelli, a partire dall’opposizione al governo di destra di Benjamin Netanyahu, che contrastano una mossa che a loro giudizio porterà Israele davanti al Tribunale penale internazionale dell’Aja su iniziativa dei palestinesi, come peraltro confermato da Parigi dal presidente Abu Mazen.
La Corte Suprema israeliana
Del resto la Corte Suprema ha fatto capire chiaramente come possa pensarla in materia: dapprima ha ordinato lo sgombero dell’avamposto illegale di Amona in Cisgiordania (scelta da cui si è mossa la destra per presentare la legge di sanatoria) e il giorno dopo la decisione della Knesset, ha stabilito (anche se per il 2018) la demolizione di 17 case costruite su terra privata palestinese nell’insediamento ebraico di Tapuach ovest nei pressi di Nablus in Cisgiordania. Ora si tratta di vedere come si muoverà di fronte alla nuova legge in vigore da subito, anche se occorreranno settimane o forse mesi per arrivare alla prima sentenza della Corte.
L’Ue
Fatto sta che il fuoco di sbarramento contro Israele è partito subito. Eccetto l’America di Trump – avvisata da Netanyahu del voto della Knesset – a muoversi sono stati Gran Bretagna, Francia, Giordania e Turchia, che hanno chiesto il ritiro della legge. L’Ue, in una mossa che alcuni media israeliani hanno legato all’approvazione della legge, non ha fissato per il 28 febbraio la data dei lavori preparatori del consiglio di associazione Ue-Israele, il primo in cinque anni. Una decisione chiesta da alcuni paesi tra cui Francia, Svezia e Irlanda. Se i sondaggi indicano il sentimento della gente, l’Istituto della democrazia di Tel Aviv ha rivelato che il 53% degli ebrei israeliani non vuole annettersi parti della Cisgiordania. Solo il 37% si dichiara a favore.