Ha iniziato la militanza politica a 19 anni, una passione mai sopita, come dirigente giovanile nella Democrazia Cristiana. Moglie, due figli, solidi principi, un amore sfrenato per la sua terra – la Puglia – e una fede incrollabile sui valori della famiglia e dell’amicizia. L’attuale Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Massimo Cassano, è impegnato ora nel difficile compito di rilanciare l’economia, con particolare attenzione al mondo del lavoro e con un occhio sempre attento a Bruxelles. Un compito difficile, arrivato dopo anni di impegno sul campo, fianco a fianco con la gente; partendo dalla sua regione fino ad arrivare agli onori (e alle responsabilità) di un incarico nazionale così delicato.
Lei è nato al Sud, che è diventato anche il suo trampolino di lancio politico e oggi un po’ anche la sua missione. Cosa ricorda della sua terra da bambino?
Più che le bellezze della natura è il rapporto umano, con i familiari e gli amici d’infanzia. E’ una caratteristica forte di chi nasce al Sud, soprattutto in quartiere popolare di Bari come il mio, Japigia, dove tra i vicini di casa e le persone di zona si era un po’ tutti parenti, si condivideva tutto. Poi diventa un valore che ti accompagna per l’intera vita, e lì trasmetti un modello diverso di politica.
A parole il Mezzogiorno è stato sempre tra i primi posti dell’agenda di ogni colore politico, ma ancora oggi sconta grandi ritardi. Perché?
Perché purtroppo nel Sud recuperare il tempo perso in tanti anni non è facile; ci vorrà pazienza e buona volontà per rimettere in sesto il territorio e diminuire il gap esistente con il Nord e con l’Europa; abbiamo però anche delle caratteristiche culturali che un po’ ci differenziano e se da una parte ci danno dei benefici, dall’altra ci creano alcuni limiti che non permettono di stare al passo con i paesi più moderni. Se un po’ tutti cambiassimo un la nostra testa e la nostra cultura probabilmente potremmo recuperare.
La crisi occupazionale è certamente uno dei mali contemporanei. Lei a proposito di disoccupati ha parlato di restituire loro speranza e dignità. Come?
Intanto darei la responsabilità dividendo le tematiche. C’è una gran parte di colpe che viene da chi in effetti ha gestito la cosa pubblica in questi anni; ma non mi riferisco solo alla politica bensì anche alla burocrazia, ai poteri dello Stato, e a tutti coloro che approfittando di una nazione che aveva un’idea importante di sviluppo hanno pensato bene di indebitarla fino a carichi insostenibili; a tutti i livelli, da quello familiare a quello delle grandi organizzazioni. Poi c’è da considerare la crisi che sta attraversando il mondo, che colpisce l’Italia. Per capire noi dobbiamo fare un paragone con gli Stati che stanno meglio, ad esempio la Germania; se lei entra in una casa di un impiegato o un operaio tedesco troverà un modello di casa di 60/80 metri quadrati, un televisore, un telefono, forse un divano… Al contrario se ci affacciamo in un appartamento in Italia troviamo di tutto, più televisori, più telefonini, due auto, la moto, tendaggi, ecc. Cioè, il nostro mercato interno è saturo perché noi abbiamo tutto. Questo non si dice mai, però è un dato esistente. Motivo per cui a mio parere l’unico errore, però grave, di chi ha gestito l’Italia in passato è quello di aver creato un debito pubblico che in un momento di crisi non ci consente di rialzare facilmente la testa; si è speso uno sproposito nei costi dello Stato, nelle assunzioni, negli incarichi in tutte le strutture.
Lo Stato per intervenire su questo debito fino a oggi si è rivalso su cittadini e imprese. C’è un’alternativa?
Questo governo sta andando in controtendenza rispetto a ciò che lei descrive. Noi non riteniamo di poter risolvere i problemi dell’Italia degli ultimi 30 anni in un anno ma abbiamo invertito quello che era il trend di qualche anno fa. Primo, in questa fase di crisi dove c’è bisogno di trovare le risorse perché gli introiti per lo Stato sono minori (meno aziende fatturano, meno tasse pagate, le costruzioni sono inferiori, gli atti notarili anche, ecc.) stiamo intervenendo sulla riduzione dei costi e sul recupero dell’evasione. Ma davvero: per la prima volta abbiamo ridotto le tasse di 18 miliardi di euro, non era mai accaduto, e per di più in un momento di crisi. Facciamo pagare meno Irap alle imprese, ed è la seconda volta nel giro di 4 mesi che interveniamo su questo, diamo la possibilità di assumere a tempo indeterminato con i primi tre anni detassati; e poi il decreto lavoro, l’eliminazione del Senato, delle Province.
Quanto può incidere l’Europa sulle opportunità di lavoro in Italia? E noi siamo pronti eventualmente a coglierle?
Sicuramente potrà incidere, anche se siamo uno di quei Paesi che dà dieci e riceve sette. L’Ue comunque serve, e non poco. Dobbiamo lavorare per cercare di creare non solo un’Europa economica e della banche ma anche politica. Io credo che sia utile e lo sarà sempre di più nel futuro.
Lavoro e centri per l’impiego. Un sistema che può migliorare?
Intanto stiamo cercando di creare un’agenzia unica del lavoro. Anche attraverso questa riforma abbiamo cercato di semplificare procedure e strutture organizzate da moltissimi anni e non più al passo con i tempi; decine e decine di contratti che poi hanno prodotto solo disoccupazione. Stiamo snellendo le procedure, quelle di assunzione prima ancora che quelle di licenziamento. Operazioni che nonostante la crisi potranno dare buoni risultati.
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