Cartabia: “Nelle comunità educanti si tocca con mano una ricchezza”

La Ministra della Giustizia Marta Cartabia ha visitato oggi una casa di accoglienza per carcerati della Papa Giovanni XXIII, vicino Rimini, dove vivono 24 detenuti che stanno scontando la pena con misure alternative al carcere. Ad accogliere la Guardasigilli, il presidente dell’associazione Giovanni Paolo Ramonda.

Le comunità educanti

Quella di Rimini è una delle otto comunità educanti con i carcerati, delle strutture per l’accoglienza di carcerati che scontano la pena, dove i detenuti sono rieducati attraverso esperienze di servizio ai più deboli nelle strutture e nelle cooperative dell’associazione. La prima casa è stata aperta nel 2004 e ad oggi sono presenti 241 tra detenuti ed ex detenuti. Negli ultimi 10 anni sono state accolte 1.865 persone.

Cartabia: “Una boccata d’ossigeno”

La ministra Cartabia, dopo aver ascoltato i detenuti ospiti della casa di accoglienza, ha dichiarato: “Sono qui per conoscervi di persona e toccare con mano una ricchezza di cui tanto ho sentito parlare, anche prima che ci incontrassimo su progetti comuni, come l’accoglienza a madri detenute con figli piccoli. “Questo è un luogo dove accadono cose importanti: essere qui oggi è un momento per coltivare il rapporto tra realtà positive della società civile e le istituzioni. Essere qui è per me come una boccata d’ossigeno. Soprattutto in ambito penitenziario, le istituzioni funzionano bene soprattutto quando c’è una sinergia con realtà che funzionano bene, come la vostra”.

Ramonda: “La rieducazione delle persone”

“Per noi è molto importante questa visita perché come Comunità abbiamo sempre scelto di collaborare con le istituzioni. Le persone che hanno sbagliato devono giustamente pagare per i loro errori, ma devono anche essere rieducate. – spiega Ramonda – E’ quello che facciamo nelle nostre Comunità. Per chi esce dal carcere la tendenza a commettere di nuovo dei reati, la cosiddetta recidiva, è il 75% dei casi. Invece nelle nostre comunità, dove i detenuti sono rieducati attraverso esperienze di servizio ai più deboli, i casi di recidiva sono appena il 15%“.

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