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Britannici al voto: May teme la rimonta di Corbyn

Seggi aperti in Gran Bretagna per le elezioni politiche, le prime a svolgersi dopo il referendum che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Si vota dalle 7 locali alle 22 (le 23 in Italia) in 650 collegi uninominali, con misure di sicurezza rafforzate dopo i recenti attacchi terroristici. I favori dei sondaggi restano per il Partito Conservatore di Theresa May, ma i Laburisti di Jeremy Corbyn hanno dato segni di ripresa. Alla Camera dei Comuni uscente i Tory avevano 331 deputati (36,9% nazionale), il Labour 232 (30,4%), gli indipendentisti scozzesi dell’Snp 56, i LibDem 8.

May in calo

May si gioca il tutto per tutto – mostrando il pugno di ferro sulla sicurezza e svoltando a destra – per difendere domani quella vittoria elettorale che da settimane viene annunciata come un immancabile destino e che sondaggi e analisti di grido continuano nonostante tutto a pronosticare. Ma che potrebbe non essere il trionfo che la premier Tory assaporava quando poco più di un mese fa decretò il voto anticipato con una disinvolta piroetta.

Rimonta

A rimescolare le carte, più del sangue versato dalla violenza jihadista a Manchester o a Londra (il cui effetto sulle urne resta tutto da dimostrare), è stata la sfida di Corbyn: vecchio leader laburista radicale che l’establishment immaginava e sperava votato a una disfatta irrimediabile, ma che diverse rilevazioni danno in rimonta. E che, se non altro, è riuscito a occupare uno spazio centrale nella campagna (approfittando anche dei passi falsi dell’avversaria), a riempire le piazze come non si vedeva da decenni, a risvegliare dal torpore del malcontento sociale sacche di disillusi. Probabilmente non abbastanza per invertire i giochi. Ma per renderli meno scontati, sì.

Il numero magico è 326 seggi, la maggioranza assoluta, da conquistare nei collegi maggioritari in ciascuno dei quali il primo prende tutto. Ma per il Partito Conservatore non andare oltre i 331 attuali sarebbe una figuraccia; e restare sotto i 326, aprendo le porte all’hung Parliament, cioè a un Parlamento senza maggioranza che gli ultimi sondaggi YouGov non escludono, sarebbe un disastro. Per evitarlo, ed evitare la sua fine politica, l’attuale premier ha martellato fino in fondo su un concetto: “Ogni voto per me è un voto per una Gran Bretagna più forte e più indipendente“, come ha ripetuto a Birmingham nel suo appello di chiusura, al termine d’una girandola mozzafiato d’incontri su e giù per l’isola.

La sfida della sicurezza

Il messaggio ha a che fare con un’idea di “hard Brexit” evocata almeno a parole in modo ormai esplicito. Ma soprattutto con il tema della sicurezza. Tema su cui May ha alzato in queste ore i toni come non mai, cavalcando la “guerra al terrorismo” in termini di scontro di “valori”, se non d’identità, e dicendosi pronta a far piazza pulita di certe “nostre leggi sui diritti umani“, laddove siano d’ostacolo. Non senza parlare di “deportazioni più facili per rimpatriare stranieri sospetti nei loro Paesi” o di “restrizioni sulla libertà di movimento” dei soggetti a rischio. Mentre fonti dell’entourage, citate dalla Bbc, hanno ipotizzato persino un ricorso più sbrigativo al “coprifuoco“, in caso di necessità.

A gettare benzina sulle braci provvedono poi i tabloid della destra più populista, scatenati contro le “frequentazioni islamiche” vere o presunte dei laburisti in affollati eventi pubblici, o addirittura – lo fa il Mail con una doppia foto platealmente suggestiva – sulle comuni radici pachistane del sindaco di Londra, Sadiq Khan, e del capo del commando terrorista di London Bridge, Khuram Butt.

Replica

Corbyn, tuttavia, non si tira indietro. Theresa May “dovrebbe smetterla con i tagli alla polizia, invece di minacciare di smettere di proteggere la democrazia e i diritti umani”, ha replicato in uno dei suoi ultimi comizi. Per poi cambiare discorso e tornare sul terreno a lui più congeniale della giustizia sociale, su un programma di promesse d’investimenti pubblici e rilancio del welfare che gli è valso, sondaggi alla mano, un netto recupero di consensi. “Abbiamo un giorno (quello del voto) per salvare l’Nhs”, ovvero la sanità pubblica prostrata dall’austerità, ha tuonato. Le sue idee, per qualcuno, sono datate, da vetero-socialista. Ma a molti giovani millenial piacciono, e il compagno Jeremy, a 68 anni suonati, resta fermo a difenderle.

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