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Brexit, stallo fra le parti: ora c’è il nodo pesca ma il tempo stringe

Barnier chiede a Johnson di fare la prossima mossa: in ballo, la tenuta del Good Friday Agreement ma anche la spinosa questione degli spazi di pesca

Argomento caldo, anzi, caldissimo. La Brexit finisce sul tavolo di Bruxelles perché, fondamentalmente, le incognite legate all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea ormai superano i livelli di guardia. Soprattutto in una fase in cui all’Europa sono richieste risposte comuni sull’emergenza sanitaria, un elemento di destabilizzazione come la complicata trattativa Ue-Uk potrebbe portare nel consesso continentale attriti imprevisti. A ogni modo, la coesione richiesta nella lotta al virus, i 27 provano a mostrarla anche sul fronte Brexit: i leader Ue, infatti, hanno invitato il premier britannico, Boris Johnson, “a fare le mosse necessarie” verso un accordo. E a farlo entro la fine di ottobre, così da incanalare la volata finale sui binari più congegnali a entrambe le parti in causa. Un atteggiamento che, però, sembra aver tutt’altro che convinto la controparte britannica.

Stallo Brexit

Al momento, fra Londra e Bruxelles lo stallo è pressoché totale. Ancor di più ora che, di fatto, Barnier ha glissato sulla propria mossa, lasciando a Johnson l’incombenza di fare il prossimo passo. In base al quale, L’Unione europea deciderà se proseguire o meno i colloqui nei prossimi giorni. E, stando a Barnier, i “negoziati non sono finiti”, con l’Europa disposta ad accelerare i tempi nelle “due o tre settimane che ci rimangono davanti”. A patto che da Downing Street venga mostrata buona volontà, qualche apertura e magari qualche passo indietro. Praticamente le stesse cose che Johnson chiede agli interlocutori. In ballo non c’è solo l’annosa questione del confine irlandese (con l’Internal Market Bill che ancora aleggia, senza che sia esattamente chiaro quali condizioni determinerà nel concreto). Stringente il tema degli accordi sui territori di pesca, ritenuti fondamentali dal Regno Unito e già portatori di qualche screzio di troppo, anche fra le imbarcazioni dei pescatori. Questo, nonostante l’influenza sul prodotto interno lordo non sia poi così rilevante (circa lo 0,12%). Ben più sostanziosa la connessa industria del pesce.

La mossa di Johnson

Per Barnier i progressi sono ancora insufficienti. Per Frost (capo negoziatore britannico) e Johnson è da Bruxelles che fanno orecchie da mercante. Risultato: nessun progresso e grande attesa per un possibile speech del premier inglese, che dovrebbe dar lumi su quali saranno le prossime mosse del Regno Unito. A ogni modo, accanto a un’intesa necessaria sul fronte irlandese per non vanificare, dopo più di vent’anni di stabilità, l’Accordo del Venerdì Santo, Uk e Ue dovranno risolvere al più presto il fastidioso nodo delle zone di pesca. Anche perché, sul punto sono diversi gli attori interessati. Francia in primis: “Non abbiamo scelto la Brexit – ha detto Emmanuel Macron -. Preservare l’accesso dei nostri pescatori alle acque britanniche è un punto importante per noi”. Avviso (è proprio il caso di dirlo) ai naviganti.

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