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BOKO HARAM SI ARRENDE AL GOVERNO NIGERIANO

Nigeria, Niger, Ciad e Camerun sono da anni teatro di sanguinosi raid, attacchi indiscriminati ai villaggi, rapimenti e stupri. Coinvolte almeno 5 milioni e mezzo di persone, che spesso hanno tentato – come in Siria, come in Iraq – la disperata fuga per scappare dai jihadisti. Non c’è l’Isis, ma Boko Haram, una formazione di terroristi che si muove con tecniche di guerriglia attaccando la popolazione indifesa. Contro di loro da tempo si è attivata la cosiddetta Forza mista multinazionale, formata per lo più da militari camerunensi e ciadiani, che operano lungo il confine con la Nigeria; a questi si è aggiunta anche la milizia nigeriana.

Poi anche la Francia ha dato il proprio sostegno logistico e di rifornimento. Adesso anche l’Onu stava valutando un intervento: un vertice speciale sulle operazioni della forza multinazionale incaricata di combattere il gruppo islamista Boko Haram – infatti – è stato convocato il 25 settembre a New York, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Troppo, per i guerriglieri del terrore, forti nel spargere sangue innocente ma impreparati a sostenere un’offensiva organizzata. E così la decisione ufficiale: Boko Haram si arrende al governo della Nigeria. I terroristi hanno affermato di essere stanchi di combattere e hanno proposto una trattativa per deporre le armi senza alcun compenso monetario.

D’altra parte il presidente nigeriano Muhammadu Buhari durante la sua visita in Francia all’inizio della settimana aveva ancora una volta offerto un ramoscello di ulivo ai ribelli, chiedendo loro di rilasciare le oltre 200 studentesse sequestrate a Chibok, nello Stato del Borno il 15 aprile 2014: un’occasione da non lasciarsi sfuggire. L’alternativa sarebbe stata l’annientamento in poche settimane.

“L’impatto degli attacchi di Boko Haram è stato devastante. Queste persone hanno perso tutti i mezzi di sostentamento. E non possono tornare ai propri villaggi per il raccolto”, denuncia Toby Lanzer, coordinatore dell’Ocha nella regione del Sahel. Seppure alcuni abitanti della regione di Adamawa, nord-est della Nigeria, sono riusciti a tornare in patria a seguito di un appello del governo, la maggior parte non hanno un motivo per tornare poiché le loro case sono state distrutte, i negozi saccheggiati e le scuole bruciate. “Di recente sono tornato a casa e mi sono trovato costretto a fare il mendicante: le mie coltivazioni erano state distrutte e non avevo nulla con cui iniziare una nuova vita”, si lamenta Mohammed Ali, un agricoltore della regione di Adamawa. “Non possiamo più nemmeno comprare del cibo e facciamo affidamento soltanto sulle donazioni”, aggiunge Ali.

Secondo le agenzie umanitarie che operano nelle zone colpite, l’intera rete di infrastrutture e’ stata distrutta dalle milizie, rendendo impossibile qualsiasi sviluppo significativo. “Questo significa che la ripresa è bloccata”, si rammarica Kasper Engborg, segretario dell’Ocha in Nigeria. Il direttore nazionale di Oxfam Nigeria, Jan Rogge, afferma: “Le stime ci dicono che negli stati colpiti il 90 per cento dei profughi ha perso tutti i beni che possedeva prima degli attacchi. Per ora solo il 10 per cento ha indicato di possedere ancora qualcosa come motociclette, cellulari, radio, gioielli, ma deve comunque fare affidamento su parenti e amici”.

Sebbene siano i villaggi e le campagne ad essere più colpiti dal conflitto, una stima recente della Famine Early Warning System Network (FEWS NET) ha rivelato che anche nelle città la gente non ha più accesso alla terra e deve comprare tutto il cibo. Chi non riesce a permettersi i prezzi aumentati esponenzialmente deve rivolgersi ad amici, alla comunità o chiedere l’elemosina.

Resta da capire se i terroristi deporranno davvero le armi in modo definitivo o se si uniranno alle forze dell’Isis in Libia passando per il Ciad. Solo un’ipotesi, per carità, ma inquietante…

 

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