Torna per la prima volta in Israele da presidente degli Stati Uniti Joe Biden, dopo la sua prima visita da senatore, quasi 50 anni fa, nel 1973. E’ la prima tappa del viaggio in Medio Oriente del presidente, la seconda è l’Arabia Saudita, con l’obiettivo di rassicurare il governo sul sostegno degli Stati Uniti contro la minaccia dell’Iran e promuovere una maggiore integrazione dello Stato ebraico con i vicini. “Non bisogna essere ebrei per essere sionisti“, ha esordito Biden subito dopo essere atterrato all’aeroporto Ben Gurion sottolineando che i rapporti tra Israele e Usa sono “più profondi e forti che mai“. Domani i colloqui con Lapid e con il presidente israeliano Isaac Herzog.
Diplomazia con l’Iran
C’è frustrazione nel governo israeliano, scrive Ansa, per i negoziati avallati da Washington per far rientrare Teheran sotto l’ombrello dell’accordo del 2015, tanto che il premier israeliano Yair Lapid, dopo aver definito “storica” la visita del presidente e “indissolubili” i legami tra i due Paesi, ha messo in chiaro che al centro dell’agenda c’è “la necessità di rinnovare una forte coalizione globale che fermi il programma nucleare dell’Iran”. Come ha spiegato il consigliere per la sicurezza nazionale americana Jake Sullivan, l’amministrazione continua ad essere convinta che gli sforzi diplomatici siano il modo migliore per convincere Teheran a rispettare le regole, allo stesso tempo Washington non esiterà a continuare ad usare lo strumento delle sanzioni economiche per fare pressioni sull’Iran. Sullivan ha anche messo in guardia sulla “grave minaccia” rappresentata dall’invio di droni iraniani alla Russia. Mosca che “rafforza un’alleanza con l’Iran per uccidere gli ucraini è una grave minaccia per tutti il mondo, ma particolarmente acuta per i Paesi della regione”, ha avvertito Sullivan, sottolineando che il tipo di droni che l’Iran ha inviato o potrebbe inviare alla Russia “sono gli stessi che hanno distrutto infrastrutture e ucciso persone sia in Arabia Saudita che in altri Paesi del Medio Oriente”.
Sicurezza dello Stato ebraico
Biden ha assicurato che gli Stati Uniti continuano ad essere impegnati per la sicurezza dello Stato ebraico e per una maggiore integrazione di Israele nella regione, evocando in particolare un “partenariato sui sistemi di difesi più sofisticati del mondo”. Ma ha ribadito anche la convinzione che la soluzione a due Stati resta “la via migliore per garantire un futuro di libertà, prosperità e democrazia per israeliani e palestinesi“. Tra i temi al centro della visita anche la riapertura di un consolato americano a Gerusalemme. Inizialmente Sullivan ha parlato della zona est della città, ma qualche ora dopo il portavoce della Casa Bianca lo ha parzialmente smentito spiegando che l’intenzione è riaprire il consolato chiuso da Donald Trump nel 2019, nella parte ovest di Gerusalemme. Anche di questo Biden parlerà con il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen venerdì a Betlemme, prima di partire per l’Arabia Saudita.
Lo Yad Vashem
La prima giornata del presidente americano in Medio Oriente si è conclusa allo Yad Vashem, il Museo della Shoah a Gerusalemme. Dopo aver ravvivato la fiamma perenne in memoria dei sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti e deposto una corona di fiori, Biden, accompagnato dal segretario di stato Antony Blinken, si è intrattenuto a lungo con due sopravvissute alla Shoah, Rena Quint e Giselle Cycowicz. “Non dimenticare mai”, ha scritto il presidente nel suo messaggio al memoriale sottolineando che “l’odio non è sconfitto, ma si nasconde”.