Il grido del Papa per il popolo armeno, a cento anni dal genocidio ordito dal regime ottomano, riporta alla luce una vicenda nera della storia europea. Il Pontefice, nel ricordarla, ha citato la dichiarazione comune fatta da Giovanni Paolo II e dal Catholicos della Chiesa armena Karekin II il 27 settembre 2001. “La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite – si legge – la prima, che generalmente viene considerata come il primo genocidio del XX secolo, ha colpito il vostro popolo armeno, prima nazione cristiana”. “La Santa Sede è lontana dalla realtà storica” si sono affrettati a dire da Ankara, dove l’ambasciatore vaticano è stato convocato per le proteste di rito. Un negazionismo, quello turco, diventato l’unica verità da quelle parti su questa drammatica vicenda. Difeso con forza, anche ricorrendo alla repressione manu militari nei confronti di chi provi a nominare il massacro.
Eppure questa storia nera è una delle cause di maggiori tensioni fra Unione Europea e Turchia e la Francia prevede addirittura il carcere per chi ne neghi l’esistenza. Le origini della pulizia etnica affondano nella difficile convivenza tra i turchi e circa 2 milioni di armeni che dimoravano nei territori dell’impero ottomano alla fine del XIX secolo. La maggior parte di questi ultimi appartenevano alla Chiesa apostolica armena ed erano sostenuti dalla Russia nella loro lotta per l’indipendenza. Per reprimere il movimento autonomista, il governo ottomano incoraggiò fra i curdi, che popolavano anch’essi il territorio dell’Armenia storica, sentimenti di odio anti-armeno. L’oppressione subita e l’aumento delle tasse portò questa popolazione alla rivolta, cui l’esercito rispose con la repressione armata, uccidendo migliaia di persone e bruciando decine di villaggi nel 1894.
Nel periodo che precedette la prima guerra mondiale nell’impero ottomano si era affermato il governo dei “Giovani Turchi”. Essi temevano che gli armeni potessero allearsi coi russi e questo fu sufficiente per dare il via a a nuovi massacri. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli. L’operazione continuò l’indomani e nei giorni seguenti. In un solo mese, più di mille intellettuali di questa etnia, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al Parlamento furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada.
Nelle marce della morte, che coinvolsero 1.200.000 persone, centinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfinimento. Queste deportazioni furono organizzate con la supervisione di ufficiali dell’esercito tedesco (allora alleato dell’impero ottomano) in collegamento con l’esercito turco e secondo alcuni storici si possono considerare come “prova generale” delle più note marce ai danni degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall’esercito turco. Uno sterminio in piena regola che la Turchia moderna continua a rifiutare. Il semplice ricordarlo costituisce reato. L’ennesima censura della vergogna.
La denuncia del Papa ha provocato uno scossone nelle relazioni diplomatiche tra Città del Vaticano e Ankara a pochi mesi dal viaggio in Turchia del Pontefice. Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, ha annunciato possibili nuove misure nei confronti della Santa Sede. “Le decisioni che prenderemo saranno rese pubbliche dopo le nostre consultazioni”, ha detto Cavusoglu durante una conferenza stampa in Mongolia, dove si trova in visita. Nel frattempo, l’ambasciatore turco presso il Vaticano, Mehmet Pacaci, ha fatto ritorno ad Ankara dopo essere stato richiamato in patria dal governo del premier Ahmet Davutoglu.