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Alzheimer, un nuovo studio ne facilita la diagnosi

I ricercatori di Yale hanno identificato un particolare biomarcatore che sarà utile per le terapie future

Un recente studio effettuato dai ricercatori dell’università di Yale e pubblicato sulla rivista Nature ha identificato un biomarcatore che potrebbe coadiuvare gli specialisti nel diagnosticare in maniera migliore l’Alzheimer.

Le placche amiloidi

La formazione di placche amiloidi nel cervello è un segno distintivo della malattia di Alzheimer. Ma i farmaci progettati per ridurre gli accumuli di queste placche hanno finora prodotto, nella migliore delle ipotesi, risultati contrastanti negli studi clinici.

Lo studio

In riguardo a questo, i ricercatori di Yale, hanno scoperto che, il gonfiore causato da un sottoprodotto di queste placche, può essere la vera causa dei sintomi debilitanti della malattia. Quindi, hanno identificato un biomarcatore che potrebbe aiutare i medici a diagnosticare meglio l’Alzheimer e fornire un bersaglio per terapie future.

I risultati

I risultati dello studio in esame, hanno evidenziato che, ogni formazione di placca può causa un accumulo di rigonfiamenti a forma di sferoide lungo centinaia di assoni – i sottili fili cellulari che collegano i neuroni del cervello – vicino ai depositi di placca amiloide. I rigonfiamenti sono causati dal graduale accumulo di organelli all’interno delle cellule note come lisosomi, che sono noti per digerire i rifiuti cellulari, hanno scoperto i ricercatori. Man mano che i rigonfiamenti si ingrandiscono, dicono i ricercatori, possono attenuare la trasmissione dei normali segnali elettrici da una regione del cervello a un’altra. Questo accumulo di sferoidi, dicono i ricercatori, provoca gonfiore lungo gli assoni, che a sua volta innesca gli effetti devastanti della demenza. Infine, il team di ricerca, ha identificato una potenziale firma dell’Alzheimer che ha ripercussioni funzionali sui circuiti cerebrali, ha normalizzato la conduzione elettrica degli assoni e migliorato la funzione dei neuroni nelle regioni cerebrali collegate da questi assoni. I ricercatori affermano che il PLD3 può essere utilizzato come marcatore nella diagnosi del rischio di malattia di Alzheimer e fornire un bersaglio per terapie future.

Fonte: Agi

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