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Accadde oggi. Italia-Germania, 50 anni fa il 4-3 che rese il calcio un’emozione

Mezzo secolo dalla Partita delle partite. A Interris.it il ricordo di Riccardo Cucchi, autore del libro "La Partita del secolo": "Quel match è l'emblema del calcio: una commedia imprevedibile, dove un episodio può cambiare il destino"

C’è stato un prima e un dopo. Il 17 giugno del ’70 il giro di boa c’è stato, più forte e repentino di qualunque altro venuto prima. E per qualsiasi altro sarebbe venuto dopo. Del resto, non ti chiami “Partita del secolo” se, in qualche modo, la storia non l’hai fatta. O perlomeno cambiata quel tanto che basta per far sì che tutti si ricordino di te. Non a tutti piacque l’Italia-Germania dell’Azteca, semifinale del Mondiale messicano del 1970. Anzi, uno che la giocò, come Pierluigi Cera, arrivò a raccontare a Gianni Mura di ritenerla una partitaccia. E’ bello anche questo. La difformità di veduta non toglie nulla, semmai aggiunge alla portata storica di un match che la storia l’ha fatta davvero. Più del Miracolo di Berna e, forse, anche più del Maracanazo. Italia-Germania fu 4-3 e il bello è che tutti coloro che la vissero riescono a ricordare non solo la partita, ma anche come e dove la vissero. Quasi un unicum nella storia del calcio.

Video © Momenti di gloria

Il 4-3

Boninsegna apre un match che, fino al 90esimo, sembra vinto. Poi segna Schnellinger, milanista, al primo e unico gol in nazionale. Si va ai supplementari e la storia comincia lì. Ed è una storia nota. L’Italia gelata da Gerd Muller, la zampata di Burgnich, il diagonale di Riva e l’uno-due assurdo Muller-Rivera, in appena un minuto. Un’emozione così il calcio non l’aveva mai provata: repentina, inaspettata, inattesa, imprevista. Un grande sport lo era anche prima il pallone, ma dopo il 4-3 in Messico divenne davvero qualcosa di magico, e non solo per italiani e tedeschi. Calciatori, allenatori, i team a bordo campo, tutti attori di una commedia di inconsapevole carica leggendaria. E i cronisti, pure loro, stipati nella tribuna dell’Azteca a raccontare, senza saperlo, un pezzo di storia del calcio, uno dei più belli.

L’undici degli Azzurri

Parte della storia

Riccardo Cucchi, storica voce della radiocronaca sportiva, aveva 17 anni quel giorno. Un adolescente di inizio anni ’70, col sogno di avere fra le mani il microfono di Enrico Ameri e di raccontare le peripezie di un pallone preso a calci da 22 uomini. Più i cambi. Ed è quel sogno che Cucchi trasforma in un libro sul 4-3. Quale titolo se non “La partita del secolo”? “Ricordo bene quel giorno. Avevo 17 anni ed ero un ragazzotto che si era appassionato assieme al suo papà. Eravamo io e lui, insieme, a vedere Italia-Germania con la voce di Nando Martellini. Accanto a me c’era, come sempre, la radio accesa e ascoltavo in sottofondo Enrico Ameri. Il libro nasce dall’emozione che quella notte ha trasmesso, a me che già coltivavo quel sogno di fare il loro mestiere. Il libro è una radiocronaca, messa su una pagina bianca, di una partita che avrei voluto e che non ho potuto raccontare”.

Eroi inconsapevoli

La storia, come sempre, corre via senza dare il tempo a chi la vive di far davvero comprendere quanto ne sia stato protagonista. Vale per tutti, anche per gli eroi: “Quella partita è un po’ l’emblema di quello che è il calcio: una commedia su un canovaccio imprevedibile, gli attori sono i calciatori, consapevoli del ruolo che hanno. Un errore e un gol possono cambiare il destino. Lo specchio dell’epicità del calcio, gli episodi che possono cambiare il destino degli attori e dei narratori, che possono trarre da quella possibilità l’occasione di essere ricordati”. Due ricordi straordinari ne “La Partita del secolo”, due capitoli-interviste che danno la parola a Gianfelice Facchetti e Simonetta Martellini, figli di chi fu fra quegli attori. E non due qualsiasi ma Giacinto Facchetti, capitano degli Azzurri, e Nando Martellini, voce narrante per chi vedeva: “Entrambi mi hanno raccontato come hanno vissuto in casa quella partita e entrambi hanno riportato questa straordinaria verità. Nessuno dei due si rese conto di essere parte della storia, di essere diventati eroi. Siamo stati noi a trasformarli in tali”.

Riccardo Cucchi al microfono

Un sonoro di vita

Tanti cronisti, radio e video, sognano di vivere un momento epico e, magari, di lasciarsi sfuggire qualche frase destinata a entrare nella memoria di una Nazione. Non sempre riesce ma, in realtà, non è che l’effetto abbia poi così tanta importanza. Svolgere il proprio lavoro, con l’adrenalina giusta, è il premio più bello. E allora anche un semplice “Che meravigliosa partita ascoltatori italiani” può passare alla storia: “Devo dire che, nel mio piccolo, riguarda anche me. Finché sono stato al microfono ero concentrato nel lavoro, che mi ha permesso di aver accompagnato veri e propri momenti di vita. Me ne sono reso conto dopo: chi mi ricordava, mi faceva capire che, per 35 anni, sono stato una voce amica. Il calcio è stato un sonoro che accompagnava le vite degli italiani”. Italia-Germania in fondo è stato questo. E la sconfitta in finale col Brasile quasi un dettaglio. La storia l’avevamo già fatta.

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