Si celebra oggi la giornata dell’Unità nazionale e delle forze armate. Quale la sua origine storica e quali valori civili ed etici sono sottesi? Nel quotidiano bollettino di guerra dell’esercito italiano, n.1268, del 4 novembre 1918, il comandante supremo, generale Armando Vittorio Diaz, annunciava: “L’Esercito austro-ungarico è annientato”. La sera del 3 novembre 1918, vicino a Padova, nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino, il comandante del VI Corpo d’armata austro-ungarico Weber von Webenau firma le clausole dell’armistizio imposte dal maresciallo del Regno Pietro Badoglio, che fu reso noto il giorno successivo. È l’annuncio della vittoria e, soprattutto della fine della guerra.
Nel mese d’ottobre l’esercito italiano aveva lanciato una grande offensiva conclusa con la battaglia di Vittorio Veneto nella quale si era avuto più che l’annientamento dell’esercito nemico, la sua ritirata precipitosa, in quanto l’Impero austroungarico era in disfacimento per la sollevazione delle nazionalità soggette all’Austria e la diserzione massiccia di soldati slavi. Fuori tempo massimo era stata la proposta del successore di Francesco Giuseppe, Carlo I, di creare una federazione multinazionale nella quale Polacchi, Cechi, Slovacchi e soprattutto Jugoslavi non fossero assoggettati al dominio austro-ungarico.
Prima dell’Austria-Ungheria aveva ceduto la Bulgaria, firmando, il 29 settembre, con la Grecia e il Regno Unito l’armistizio di Tessalonica. Era seguita, il 30 ottobre, con l’armistizio di Moudros, la resa dell’Impero Ottomano agli Inglesi che nel Medio Oriente avevano sfruttato in unzione antiturca il nascente nazionalismo arabo, com’è magistralmente narrato nel notissimo, pluripremiato, film del 1962 di David Lean, “Lawrence d’Arabia”.
Qualche giorno dopo, l’11 novembre, in un vagone ferroviario a Rethondes nella Francia settentrionale, fu la Germania a firmare l’armistizio con le potenze dell’Intesa. A seguito della ribellione dei marinai di Kiel, segnale drammatico della dissoluzione dell’esercito, si era avuta l’abdicazione di Guglielmo II e la proclamazione della repubblica.
I trattati di pace successivi, a partire da quello durissimo di Versailles, imposto dalla Francia alla Germania, non garantiranno certo un’era di pace, anzi i sentimenti diffusi di mortificazione e con il desiderio di rivalsa degli Stati sconfitti, alimentarono un clima di tensione e di contrasti che sfocerà nella Seconda guerra mondiale. Giustamente al riguardo molti storici parlano di una “nuova Guerra dei trent’anni” dal 1914 al 1945. L’Italia vittoriosa ottiene il Trentino e la Venezia Giulia, con Trento e Trieste, simbolo stesso delle terre “irredente”. Per il vero ai confini nordorientali sono acquisisce anche dei territori con popolazioni di lingua tedesca, come l’Alto Adige-Südtirol o slovena., con conseguenti contrasti con il neonato regno d’Jugoslavia. Senza dubbio, tuttavia, si completa il processo di unificazione nazionale in atto da ben sei decenni. È la ragione per la quale la guerra del 1915-18 è stata presentata come la “quarta guerra d’indipendenza”.
È con il decreto legge n. 1354 del 23 ottobre 1922 che “il giorno 4 novembre, anniversario della nostra vittoria è dichiarato festa nazionale e considerato festivo a tutti gli effetti civili”. Nel 1919 e nel 1920, nel clima incandescente del dopoguerra, la ricorrenza della fine della guerra era stata occasione di polemiche e scontri anche violenti perché come scrisse il quotidiano “Avanti” del 5 novembre, “la classe operaia è rimasta assente dal tripudio dei guerraioli”. Nel 1921, un nuovo decreto regio stabiliva: “Il giorno 4 novembre 1921, dedicato alla celebrazione delle onoranze al soldato ignoto, è dichiarato festivo”. Lo stesso anno, in precedenza, era stata approvata la legge dell’11 agosto 1921, “per la sepoltura in Roma, sull’Altare della Patria, della salma di un soldato ignoto caduto in guerra”.
Il “milite ignoto” fu scelto ad Aquileia, cittadina di antico splendore della nuova provincia di Udine, tra undici salme non identificate di caduti in guerra. La scelta in una cerimonia solenne fu affidata a Maria Bergamas, in rappresentanza delle tante madri con un figlio caduto in combattimento del quale non era stato possibile ricostruire l’identità.
Il convoglio che trasporto la salma del “milite ignoto” da Aquileia fino a Roma si fermò in ben cento stazioni e lungo il suo lento tragitto di oltre 500 chilometri, sia nelle aree urbane, sia nelle campagne, una folla enorme di milioni di persone, di tutte le età, soprattutto donne, assistette commossa, aspettando per ore il passaggio del treno, L’Italia aveva negli anni della guerra circa 35 milioni di abitanti e in guerra erano caduti 700 mila giovani con un numero più che doppio di feriti, “mutilati”, com’erano essi classificati. Erano poche, dunque, le famiglie italiane che non avevano pagato con il sangue la terribile guerra appena conclusa, che il grande pontefice Benedetto XV aveva definito, nel 1917, nella famosa “Nota ai capi dei popoli belligeranti” come “inutile strage”. Il docufilm, “La scelta di Maria”, del 2021, di Francesco Micciché, con interviste e coinvolgenti documenti d’epoca ha ricostruito la vicenda politica, ma soprattutto sociale e umana di quella vicenda.
Cento anni dopo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordando che nel 2021 ricorrevano contemporaneamente il centenario della traslazione al Vittoriano della salma del milite ignoto, i 160 anni dell’Unità d’Italia, e i 75 anni della repubblica, così ha scritto: “La nostra storia è segnata dalla tragedia della Prima Guerra Mondiale: nel dolore condiviso si è cementato un sentimento di fratellanza inestinguibile tra il Paese e i cittadini in uniforme. Oggi gli eredi di quelle tradizioni confermano di rappresentare un patrimonio di virtù civiche, di coesione, responsabilità, a disposizione del Paese”.