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Perché l’adorazione dei pastori dimostra che la salvezza di Dio è destinata a tutti

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Quante volte abbiamo alzato gli occhi per guardare le stelle, già da bambini, eravamo attratti dalla loro luminosità, erano puntini lontani che illuminavano la volta celeste, era uno spettacolo meraviglioso soprattutto in quei posti dove lo spazio era libero, senza case o palazzi, che nascondevano la vista del cielo e gli astri  si potevano osservare ancora meglio. Chissà cosa avranno pensato i pastori nella notte di duemila anni fa, quando hanno visto passare una stella cometa: stupore, meraviglia e poi…

Eppure, proprio loro i pastori, nonostante fossero presi da grande timore, senza indugio, con le loro greggi si sono recati presso una grotta. Non hanno chiesto informazioni o consultato persone più esperte, non avevano mappe o navigatori che indicassero la strada più breve, si sono messi in cammino semplicemente seguendo e ricordando quello che aveva detto l’angelo.

E così la meraviglia nella meraviglia si manifestò davanti ai loro occhi con il viso di un Bambino…e che Bambino.

Ma, è bene ricordarlo i pastori, erano gente poco considerata in quel periodo storico e in quella società, che li relegava quasi all’ultimo posto essi erano visti in modo piuttosto ambivalente dalla società giudaica. Da un lato, erano figure essenziali per l’economia, occupandosi dell’allevamento delle pecore, fonte primaria di lana, latte e carne. Dall’altro, erano spesso emarginati e visti con un certo disprezzo, perché ritenuti impuri a causa del contatto costante con gli animali morti. Questo li escludeva da molte pratiche religiose e sociali.

Inoltre, per la loro condizione di vita, isolati nelle montagne e nei pascoli per gran parte dell’anno, a contatto solo con le bestie, erano per lo più bruti, selvaggi pericolosi, era sconsigliabile incontrare. Erano esclusi dal tempio, dalla sinagoga, per loro non c’era alcuna possibilità di salvezza. Erano esclusi anche dal perdono di Dio perché non potevano restituire quel che avevano rubato, secondo quanto era prescritto dalla Legge (Lv 5,21-24). Privati dei diritti civili, esclusi dalla vita sociale, ai pastori era negata la possibilità di essere testimoni, poiché, in quanto ladri e bugiardi, non erano credibili e valevano meno delle bestie che dovevano accudire.

Eppure, malgrado tutte queste cose, i pastori furono i primi a vedere quel Bambino e si mossero dal loro riposo notturno, senza indugio, senza tentennamenti.

“Non temete! Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.  E questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia “. E subito dopo una “moltitudine dell’esercito celeste” si unisce a lui cantando la Gloria di Dio.Con queste parole riprese dal Vangelo di Luca, notiamo che i pastori non perdono tempo a porsi domande, non hanno dubbi, credono a quanto annunciato dall’ angelo e subito si muovono e vanno incontro a Colui che sarà il Messia.

L’angelo appare a degli umili pastori, dimostrando così, che la salvezza è destinata a tutti, non solo ai potenti o ai ricchi e il Dio-Bambino, preferisce gli umili e i semplici. L’adorazione dei pastori è un episodio fondamentale non solo nel contesto della Natività, ma più in generale nella storia della venuta di Gesù nel mondo, nel suo essersi fatto uomo per gli uomini, proprio a Natale. Dopo aver adorato il Bambino i pastori tornano al loro lavoro e alla loro vita “glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. E siamo sicuri che i pastori tornando al lavoro avranno avuto impresso nel cuore quel Bambino che ha insegnato a tutti l’importanza di essere umili.

Gualtiero Sabatini: