“Riscopriamo il Concilio per ridare il primato a Dio, all’essenziale, a una Chiesa che sia pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da Lui amati; a una Chiesa che sia ricca di Gesù e povera di mezzi; a una Chiesa che sia libera e liberante”, insegna papa Francesco. Nel definire l’essenza della Chiesa e il suo mandato, il numero introduttivo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, la definisce in poche e dense parole, quando afferma che essa “è in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. Il Vaticano II rivelò una Chiesa diversa da com’era stata fino ad allora guardata, giudicata. E diversa, specialmente, per come adesso intendeva essere presente sui molteplici fronti dell’umanità: la famiglia, il lavoro, la giustizia, la scienza, la guerra e la pace.
Era la nuova Chiesa plasmata dall’altra grande costituzione, la “Gaudium et spes”. Quella che, già nel suo esordio, esprimeva il mutamento radicale operato dalla Chiesa nel suo rapporto con il mondo. “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. La Chiesa, che non potrebbe sussistere se non nella comunione con Cristo, suo Signore e sposo, scaturisce dal disegno e dall’opera della Trinità, come i numeri seguenti si affrettano a mostrare, e dell’unità di Dio deve essere il riflesso e il segno visibile. Ora, tale unità, come avviene nella stessa vita trinitaria, si realizza nell’amore. Della misericordia divina, quindi, la Chiesa deve essere l’annunciatrice e prima ancora la trasparente ricettrice, essa che è stata generata dall’effusione pasquale dello Spirito, che è l’amore stesso di Dio. L’amore è dunque la prima, e in fondo l’unica, vocazione della Chiesa, come Gesù stesso ha insegnato proclamando il comandamento della carità.
Solo attraverso l’amore, infatti, essa può realizzare il suo compito di essere strumento di unità per il genere umano. E’ utile ripensare a com’era la Chiesa cattolica prima del Concilio. Una Chiesa con una struttura quasi monarchica. Fondamentalmente clericale. Dominata, teologicamente e pastoralmente, dall’Europa. La Bibbia ancora tabù per il popolo cristiano. La Messa ancora solo in latino, e con il celebrante che voltava le spalle all’assemblea. Una religiosità ridotta ai precetti, alle regole, a una morale inquisitoria e per niente misericordiosa. Una netta chiusura alle altre Chiese, alle altre religioni. Un atteggiamento ancora improntato all’ostilità, se non alla condanna, nei confronti del mondo, della scienza, della cultura moderna. Ebbene, dopo il Vaticano II, niente di tutto questo restò come prima. E non perché fosse stata stravolta la Tradizione o messi da parte i dogmi, le leggi; ma perché i padri conciliari avevano saputo leggere il Vangelo e la storia umana con occhi nuovi: un Vangelo naturalmente immutabile, intoccabile, ma da annunciare con un linguaggio adatto agli uomini contemporanei.
Come ripeteva sempre Giovanni XXIII: “Non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cambiamo e quindi siamo in grado di comprendere il Vangelo meglio e più a fondo di prima”. Cambiò l’immagine stessa di Chiesa, che la costituzione dottrinale “Lumen gentium” presentava ora come “sacramento universale di salvezza. Il popolo di Dio messo prima della gerarchia. L’autorità pontificia affiancata dal collegio episcopale. La parola di Dio ritrovò la sua centralità nella vita ecclesiale. Ci fu la riforma liturgica. Venne riconosciuto il ruolo attivo dei laici, rivalutata la libertà di coscienza, cancellata la bimillenaria accusa di deicidio al popolo ebraico. E non solo questo, ma dallo “spirito” conciliare scaturiranno poi una lunga serie di novità. Come, per dirne una, l’esplosione dei nuovi movimenti laicali, e che, per certi aspetti, ricordava la sconvolgente apparizione degli ordini religiosi mendicanti, domenicani e francescani, agli inizi del XIII secolo.